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Djokovic in questa storia è solo una vittima

Premessa #1: per una curiosa coincidenza del destino, ho contratto il Covid-19 nello stesso giorno in cui Novak Djokovic è atterrato qui a Melbourne per essere preso in custodia dalle autorità australiane. Il giorno prima di testarmi positivo mi ero fatto somministrare la terza dose, prenotata appena possibile. Questo per chiarire la mia posizione sui no-vax, a scanso di equivoci. Peraltro sono da giorni a letto, con dolori dappertutto, debolezza diffusa ed un mal di testa lancinante. Insomma, qualcosa di più della semplice influenza che combatti con due pastigliette di antipiretico.

Premessa #2: nutro una passione ed ammirazione sconfinata per Nole, sopratutto dopo aver letto la sua biografia che descrive le estati passate ad aiutare i genitori nella loro pizzeria, i mesi semi-nascosto nel bunker per sfuggire alle bombe durante la guerra civile e la parabola di un uomo che – al contrario di altri suoi colleghi sempre politicamente corretti e furbetti (Nadal e Federer, tanto per non fare nomi) – non ha mai avuto paura di assumere posizioni impopolari e spesso antipatiche.

Premessa #3: in Australia Djokovic è amatissimo e lui ama questo Paese e questo torneo in maniera viscerale, tanto da non aver mai nascosto come gli Australian Open siano di gran lunga il suo torneo preferito, non solo da un punto di vista tennistico ma soprattutto ambientale.

In queste ore la matassa sembra dipanarsi, in attesa del pronunciamento finale atteso per lunedì, e tutti i soloni che in questi giorni hanno attaccato il tennista serbo potrebbero essere costretti a mangiarsi (e masticarsi per bene) la lingua. Cerchiamo di volare più alti e portare la discussione su un piano superiore, che è quello del coordinamento tra le istanze pubbliche (Federali e Statali, qui in Australia) e le organizzazioni private (la Federazione Tennis australiana). Di questo ragionamento si può fare un copy and paste ed applicarlo quasi integralmente a quello che sta accadendo nel campionato di calcio italiano.

Djokovic ha viaggiato a Melbourne dopo aver ottenuto l’esenzione, richiesta dal suo staff alle autorità australiane, sulla base di una delle categorie previste dalla attuale normativa, così come comunicata da Tennis Australia a tutti gli atleti. A tale documentazione era annessa la richiesta di visto. Pensare che tutta la procedura non fosse stata concordata con gli organizzatori degli Open è pura follia, così come immaginarsi un membro della staff di Djokovic compilare la richiesta di visto e barrare la casella sbagliata. Non vi era pertanto nessun motivo per cui Nole non dovesse imbarcarsi sull’aereo ed il fiume di critiche abbattutosi su di lui è semplicemente folle, in quanto il serbo di questa storia è solo una vittima (certo, avesse evitato di pubblicizzare il suo viaggio sui social media magari si sarebbe evitato molti grattacapi, ma questo è un altro discorso).

Nel tempo in cui Djokovic era in volo, si è scatenato il finimondo da parte dell’opinione pubblica (comprensibilmente, sopratutto in un paese come l’Australia che vanta oltre il 90% della popolazione vaccinata ed una città come Melbourne che detiene il record mondiale per il maggior numero di giorni in lockdown) ed il governo ha cercato un escamotage per minimizzare il pessimo ritorno di immagine, trovando un cavillo burocratico cui appigliarsi.

Tutto abbastanza prevedibile, compreso lo scambio di accuse tra governo federale e statale su colpe e responsabilità. E qui entra in gioco in terzo incomodo: Tennis Australia. Che è un’organizzazione privata che organizza e gestisce gli Open, che costituiscono il 95% della sua ragion d’essere. Proprio oggi i giornali australiani sono riusciti a prendere visione di una lettera spedita il 10 Novembre da Craig Tiley, CEO di Tennis Australia, all’Australian Technical Advisory Group on Immunisation (ATAGI), in cui Mr. Tiley suggerire che la mancata partecipazione di giocatori non vaccinati agli Open potrebbe addirittura rendere il torneo “not viable”, non fattibile. Dal che si evince come l’organizzazione degli Open abbia cercato qualunque pretesto per garantire la partecipazione dei tennisti no-vax, di cui Djokovic è ovviamente il boccone più appetitoso commercialmente.

Sicuramente l’Australia non ha fatto una bella figura, il che è piuttosto strano per una nazione che è generalmente encomiabile nel garantire il rispetto di regole chiare e condivise, un aspetto che tutti noi immigrati sempre commentiamo in maniera estremamente elogiativa. Il fatto che una debacle simile sia successa in un paese virtuoso come questo fa capire quanto sia delicato il tema della divisione di competenze e responsabilità tra i diversi livelli del governo e partner privati, soprattutto quando si parla di eventi che attraggono quantità industriali di soldi e spettatori.

In Italia si sta vivendo una commedia simile con i litigi Stato-Regioni (ultimo in ordine di tempo quello sulla chiusura delle scuole in Campania) e, tornando all’ambito sportivo, con il penoso balletto cui abbiamo assistito in questi giorni nel campionato di serie A. E’ un problema di Costituzione e demarcazione di poteri? Forse sì. Anche se il fatto che i problemi siano simili in ordinamenti giuridici e costituzionali cosi’ differenti mi fa pensare che vi sia dell’altro.

Il cuore del problema – abbastanza tristemente – è che, sempre e comunque, lo show must go on. Soldi, business, visibilità, pubblicità: è inutile nasconderselo, sarebbe da folli pensare che le regole siano uguali per tutti. Basta vedere le statistiche sui calciatori non vaccinati nelle leghe europee (con la Premier League avanti a tutti con ben 1 calciatore su 6 non vaccinato) per capire come la doppia morale sia applicata a mani profuse. Che fare? Nel mondo perfetto tutti i cittadini responsabili e di buona volontà si dovrebbero unire in un boicottaggio globale, per far capire a chi di dovere che questo squilibrio è odioso, soprattutto in un momento come questo. Percentuale di probabilità che questo accada? 0%. Siamo tutti troppo amanti della nostra serata a guardarci lo sport in TV (o negli stadi) e basta che Donnarumma pari qualche rigore in una competizione europea per farci stare in strada a festeggiare fino alle 4 di mattina, scordandoci completamente di essere nel mezzo di una pandemia.

Ed allora, tornando a Djokovic? Io spero che il governo australiano abbia un sussulto di dignità, confermi la decisione di non farlo partecipare agli Open ma, invece di minacciarlo di non farlo entrare nel Paese per i prossimi tre anni – come si vocifera -, si profonda invece in sentitissime scuse per il pasticcio combinato. Ed offra un contributo alla sua Fondazione, che finanzia progetti a sostegno dei bambini in età prescolare. Sarebbe una forma elegante di uscire a testa alta da una situazione che purtroppo imbarazza tutti noi australiani.