Una maggioranza sull’orlo dell’implosione, mentre i contagi per la variante Omicron continuano a crescere segnando nuovi record. Lo scenario per la politica che sognava di occuparsi (quasi solo) di trattative per il Quirinale da qui al 24 gennaio, giorno della prima convocazione dell’Aula, si fa sempre più preoccupante. E soprattutto per il presidente del Consiglio Mario Draghi che, fino a poche settimane fa, si definiva “un nonno al servizio delle istituzioni” e pensava già di potersi togliere la maglia da premier per salire al Colle. Neanche il tempo di festeggiare, si fa per dire, il Capodanno, che lo scenario sembra drasticamente mutato e le voci di una sua possibile rinuncia alla corsa per il Quirinale si fanno sempre più insistenti, in attesa di una sua parola – in un senso o in un altro – nella conferenza stampa annunciata per lunedì prossimo, che ufficialmente ha come tema l’ultimo decreto Covid sull’obbligo vaccinale.
Siamo in una fase in cui tutto è possibile e ogni ora si ricomincia da capo a tessere la tela di relazioni e strategie, ma è chiaro che superata la soglia dei 100mila contagi giornalieri, l’orizzonte d’azione si fa sempre più limitato. Un primo segnale è arrivato dal repentino cambio di idea di Draghi sulla conferenza stampa post decreto Covid: nei giorni scorsi ha scelto la ferrea linea del silenzio, anche per evitare di dire una parola in più in vista della lotta per il Colle, ma ha dovuto fare marcia indietro. In queste ore la conferma: lunedì 10 gennaio Draghi parlerà alla stampa per spiegare in primis l’obbligo vaccinale. L’assenza di comunicazioni ha creato non pochi malumori e il premier è stato praticamente costretto a programmare l’uscita pubblica per rispondere alle domande. E di fronte alle domande sul futuro del governo e sul Quirinale, non potrà fare scena muta. A preoccupare davvero ora sono le spaccature di partiti e maggioranza: è sempre più chiaro che, se Draghi dovesse davvero essere eletto presidente della Repubblica, non tutte le forze attuali sarebbero disposte a stare nell’esecutivo. E questo si porterebbe dietro l’ennesimo scossone che il Paese, in piena emergenza sanitaria non può permettersi.
Goldman Sachs: sa Draghi va al Colle “notevoli implicazioni di mercato” – A pensarlo prima di tutto è il mondo della finanza internazionale. E, in questo quadro di incertezze, quanto scritto da Goldman Sachs – peraltro ex datore di lavoro del premier – in una delle sue ultime analisi fa molto riflettere. L’eventuale elezione di Mario Draghi al Quirinale – con le conseguenti dimissioni da premier e la ricerca di un nuovo accordo di governo, si legge nel report “potrebbe avere notevoli implicazioni di mercato”. Nel report, diffuso nelle scorse ore, la banca americana ci si dice “più preoccupata del consensus sul fatto che questo scenario comporterebbe un ritardo nell’implementazione del Recovery Fund e delle riforme ad esso connesse”. L’analisi spiega come l’elezione di Draghi a presidente della Repubblica “rafforzerebbe l’ancoraggio dell’Italia e della sua politica all’Europa” ma lancia anche l’allarme sulle “incertezze” che circonderebbero il nuovo governo e “l’efficacia della sua politica“. Alla luce dei pro e dei contro, da Goldman Sachs ci si dice più convinti che “Draghi rimarrà primo ministro” ma in ogni caso “guidare il governo nel 2022 potrebbe rivelarsi più impegnativo” che nell’anno appena concluso, come hanno dimostrato le discussioni che hanno accompagnato la manovra. Da una parte, osserva la banca americana, “è probabile che le tensioni tra i partiti di centrosinistra e di centrodestra peggiorino con l’avvicinarsi delle elezioni generali nella primavera del 2023″, dall’altra Draghi a Palazzo Chigi potrebbe contare sul fatto che “i partiti della coalizione di governo non hanno alternative praticabili” fino al voto del prossimo anno. E quindi “potrebbe quindi sfruttare questa posizione unica per imporre la sua disciplina a una coalizione frammentata e sfruttare i poteri speciali concessi dalla governance del Recovery Fund che il suo governo ha istituito”. Peraltro le stime “prudenti” di Goldman Sachs sono che il governo italiano sarà in grado di implementare solo il 60 per cento di 39 miliardi di euro di sovvenzioni Ue previste nel 2022.
Macron benedice lo status quo perché non cambi – Insomma se si cambia l’assetto dell’esecutivo, poi a subirne gli effetti ne è quasi sicuramente anche la stabilità interna dell’Italia. E questo non piace ai mercati, ma neppure ai partner europei. Giusto ieri ne ha parlato anche il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, durante la conferenza stampa per inaugurare la presidenza francese del Consiglio europeo. Pur non volendo esprimersi sulla politica interna italiana, si è lasciato scappare un “siamo fortunati” ad avere Draghi premier e Sergio Mattarella presidente della Repubblica. Un chiaro messaggio che, al di là dei nostri confini, vedono con timore l’idea che Roma ripiombi nell’ennesima crisi politica e sperano in una conservazione dello status quo.
La Lega lancia segnali: Draghi non è tra i nomi per il Colle – Ecco perché si fanno sempre più notare le dichiarazioni che lasciano intendere la possibilità che Draghi si faccia da parte. Soprattutto se a farle sono quei politici che dovrebbero votare la sua elezione. Oggi a parlare è stato Lorenzo Fontana, vicesegretario della Lega. Intervistato dal Corriere della sera, l’ex ministro ha parlato della necessità di un presidente eletto dal centrodestra, ma ha escluso che che sul tavolo ci sia il nome di Draghi. “Preferirei che rimanesse lì dov’è“, a Palazzo Chigi, perché “serve che il governo sia operativo“. Frasi che non vengono pronunciate per caso e che sono strettamente collegate al futuro dell’esecutivo. E alla domande se la Lega andrà all’opposizione qualora Draghi venisse eletto al Colle, il vicesegretario non ha escluso niente: “Difficile dirlo“. Il 4 gennaio scorso, una cosa simile l’aveva detta un altro leghista di grande peso, il presidente del Veneto Luca Zaia: “Con Draghi al Quirinale scenario non poco preoccupante – aveva detto in tv – Se fossimo in un’azienda, davanti a situazione topica, non si cambia amministratore delegato“.
Anche i renziani e Calenda si tirano fuori – Ma non c’è solo il centrodestra a esprimere l’impossibilità di un Draghi al Colle. A dirlo oggi sono anche i renziani, i primi sponsor (autoproclamati): “Quanto all’ipotesi del premier al Colle”, ha detto il presidente di Italia viva Ettore Rosato al Giornale “Draghi fa benissimo il suo mestiere e nessuno potrebbe farlo come lui, ma se si raggiungesse un accordo per farlo andare al Quirinale bisognerebbe concordare come concludere la legislatura con un governo all’altezza delle importanti incombenze del 2022. Bisogna vedere se ci sono le condizioni e non è scontato che un altro riesca a tenere insieme la stessa maggioranza“. Ma non solo Rosato e i renziani la pensnao così. Un altro sponsor di Draghi come Carlo Calenda, leader di Azione, ieri all’HuffingtonPost diceva che “il governo si è inceppato” e denunciava una situazione in cui “i partiti hanno iniziato a tirare la coperta nella propria direzione, che raramente coincide con l’interesse del paese”. E questo perché “il Quirinale (e l’eventuale elezione di Draghi) ha determinato una impasse da cui sembra difficile uscire. Invece di continuare con l’inutile gioco sull’identikit del prossimo presidente della Repubblica dovremmo rovesciare la prospettiva e verificare prima di tutto se esistono le condizioni per la continuazione del governo Draghi“. E Pd e M5s? Se Enrico Letta e, in parte, Giuseppe Conte stavano iniziando a lavorare per l’elezione unitaria di Draghi, è anche vero che negli ultimi giorni dall’interno dei rispettivi partiti sono arrivate spinte in senso opposto. Ovvero: senatori M5s e correnti dem (Giovani turchi in primis) hanno chiesto che i due partiti si schierino per un Mattarella-bis al Quirinale. Il capo dello Stato lo ha detto in tutti i modi possibili che non ha intenzione di restare ancora, ma gli scenari cambiano in fretta e la variante Omicron potrebbe spingere a dover rivedere tutte le posizioni.
E Mieli profetizza: “Non mi stupirei se si tirasse fuori dalla corsa” – Intervistato da Libero, chi ha disegnato molto chiaramente il quadro che potrebbe delinearsi è l’editorialista Paolo Mieli: “Non sono un suo confidente ma lo vedo preoccupato per la pandemia e stralunato per la piega che sta prendendo il dibattito politico. Penso che abbia capito bene che i partiti si stanno dando da fare per stritolarlo e che forse questa è la sola cosa sulla quale vanno d’accordo tutti. Non mi stupirei se, compreso che è stato creato un sistema perfetto per distruggerlo, presto annunciasse in qualche modo il proprio ritiro per la corsa al Colle. Se non lo ha già fatto forse è solo per l’escalation del numero dei positivi al Covid degli ultimi giorni, ma non mi stupirei che mollasse appena il contesto lo renderà possibile. D’altronde, nessuno lo ha candidato per il Quirinale ma già tutti pensano a come sostituirlo a Palazzo Chigi”.