Ramy Shaath è tornato libero. L’attivista e politico di origini palestinesi è rimasto per 900 giorni in attesa di giudizio nel carcere egiziano di Tora per accuse di terrorismo: ora è rientrato in Francia, con un volo atterrato a Parigi. L’annuncio del suo rilascio era stato dato dalla moglie Cèline Lebrun: “Mi tremano le mani mentre sto scrivendo queste righe. Adesso lo posso dire e urlare al mondo: Ramy è libero e ora è in viaggio verso Parigi”. La notizia sulla sua scarcerazione dalla prigione di Tora (alla periferia del Cairo) e la deportazione dall’Egitto è ufficiale, ma ci sono voluti giorni affinché si potesse arrivare a questo risultato.

Dal primo pomeriggio del 4 gennaio scorso, quando una nota di Mohamed Anwar al-Sadat, membro del Consiglio Nazionale dei Diritti Umani, ha rotto un silenzio lunghissimo sulle sorti di Shaath: “Sono iniziate le procedure per il suo rilascio, ringrazio tutti, comprese le autorità egiziane, e porgo le mie felicitazioni alla sua famiglia” aveva scritto al-Sadat, ma poi l’uscita dal carcere dell’attivista al centro della Rivoluzione di piazza Tahrir del 2011 si è verificata soltanto nella tarda serata di giovedì 6 gennaio. Un giorno di preparativi e ieri Ramy Shaath ha potuto finalmente lasciare il paese con un volo partito dall’aeroporto internazionale del Cairo atterrato ad Amman, in Giordania, per uno scalo tecnico, infine il trasferimento dalla capitale giordana a Parigi.

Solo a questo punto Céline Lebrun, cittadina francese, ha potuto liberare la sua gioia estrema al termine di un vero e proprio incubo lungo due anni mezzo. Ramy Shaath, infatti, è stato arrestato dagli agenti della National Security nella notte tra il 4 e il 5 luglio del 2019 durante un blitz nella casa del Cairo condivisa proprio con la moglie che da allora ha lasciato il Paese nordafricano per fare ritorno nella sua Nanterre, cittadina a nord di Parigi. Durante questi 900 giorni la Lebrun ha seguito le sorti del marito in ‘remoto’ e per via epistolare, fino al marzo scorso, quando il governo egiziano le ha concesso un visto di entrata e la possibilità di visitarlo in carcere per tre giorni consecutivi. Ora l’incubo è finito: “Continuo a ripetermi le stesse parole, quasi incredula. Per tutto questo tempo Ramy ha dormito sul pavimento dentro una cella minuscola e affollata e presto lo vedrò davanti a me. Tra poche ore lo abbraccerò, non ci posso credere. Le parole non possono rendere per intero la gioia e il sollievo e soprattutto le emozioni che sto provando. Ringrazio tutti coloro che nel tempo si sono prodigati per far sentire la nostra voce e la richiesta d’aiuto affinché Ramy fosse liberato. Le organizzazioni non governative, i politici, gli attivisti e ovviamente l’informazione che ha tenuto viva la campagna. Ringrazio anche le autorità egiziane che alla fine hanno posto fine a una detenzione assurda, anche se al costo di imporre a mio marito di perdere la cittadinanza egiziana. Ramy è nato ed è cresciuto in Egitto e quel Paese sarà sempre la sua terra”.

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