Scienza

Stephen Hawking era un genio? Di certo era famoso

Stephen William Hawking. Fisico teorico, cosmologo, divulgatore scientifico. Oggi, 8 gennaio 2022, avrebbe festeggiato il suo ottantesimo compleanno. Era nato lo stesso giorno in cui morì Galileo Galilei ed è morto lo stesso giorno in cui nacque Albert Einstein, alla sua stessa età: 76 anni. Per alcuni sono segni del destino, era predestinato ad essere un genio della Fisica.

A dire il vero io sono nato il giorno in cui morì colui che sedeva sulle spalle dei giganti ed era stato, come lui, Lucasian Professor of Mathematics all’università di Cambridge. Isaac Newton era andato in cattedra nel 1669. Stephen W. Hawking nel 1979.

Peccato che nessuno mi considera un genio della Fisica. Evitiamo di giocare con le coincidenze.

Domanda: Hawking era un genio? Di certo era famoso. Indimenticabile l’immagine di lui accovacciato sulla sua sedia a rotelle, il busto inclinato sulla destra, il corpo, il volto, le mani deformate dalla SLA, sclerosi laterale amiotrofica. Quando gli era stata diagnosticata, nel 1963, aveva 21 anni e gli avevano dato una speranza di vita di un paio di anni. Ha convissuto con la malattia di Lou Gehrig per 55 anni A seguito di una tracheotomia resa necessaria da una polmonite sviluppata nel 1985, non poteva più parlare e si serviva di un sintetizzatore computerizzato. La sua voce elettronica è diventata un’icona sonora al punto di essere utilizzata dai Pink Floyd nel 1994 nel loro disco “The Division Bell” nel brano “Keep Talking”. Era l’immagine di come le limitazioni fisiche fossero state compensate, in modo quasi soprannaturale, dal dono di una mente eccelsa capace di rivelare in modo enigmatico, novello oracolo, i segreti nascosti agli occhi dell’uomo qualunque.

Non per nulla le sue conferenze e apparizioni pubbliche registravano sempre il tutto esaurito e per ognuna di esse incassava cachet interessanti, dell’ordine dei 100 mila euro. Qualcuno ha detto che sfruttava in modo esagerato la sua notorietà, che aveva fatto diventare il suo nome un vero e proprio marchio di fabbrica. A dire il vero, non aveva scelta. Nella sua disabilità, muoversi richiedeva il coinvolgimento di decine di persone, tutte da ricompensare.

La sua attività di divulgatore scientifico trovò la massima espressione nella pubblicazione del libro Una breve storia del tempo. Cosmologia raccontata a chi non ha conoscenze di fisica. Parla della struttura, origine, sviluppo e possibile fine dell’universo. Parla di spazio e di tempo, dei costituenti e delle forze fondamentali che governano il cosmo. Racconta di buchi neri e del Big Bang, quando tutto ebbe inizio. Spiega cosa sia la teoria della grande unificazione e quali le ricerche in corso. Tradotto in 30 lingue diverse. 25 milioni di copie vendute. Quante ne siano state lette fino in fondo non si sa.

Ci sono libri che rispondono alla legge dei ritorni decrescenti. Li leggi una prima volta e si ha la sensazione che siano importanti, ma dopo un certo numero di pagine ci si sente persi. Non si è capito tutto. Li si riprende dopo un po’ e se la prima lettura era arrivata a tre quarti del libro, la seconda non supera la metà. Se si insiste con una terza lettura non si supera il secondo capitolo. Più leggi, meno capisci. Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante di Douglas Hofstadter, del 1979, è uno di essi. Ulysses di James Joyce, del 1922, un altro. Das Kapital di Karl Marx, del 1867, invece pure. Una breve storia del tempo fa parte dello stesso insieme. Non perché, come è stato affermato, troppo intellettuale e difficile. Perché non ha l’eleganza, la leggerezza, la conoscenza della materia che trasuda da un libro di Richard Feynmann, capace di fare percepire al lettore il fascino e il divertimento offerto dalla Fisica.

Eppure è stato osannato dalla critica, descritto come magnifica narrazione, dimostrazione del genio dell’autore, mirabile mente libera di scorrazzare nelle profondità del cosmo, mentre il suo corpo è confinato su una sedia a rotelle.

Lui, Stephen Hawking, non ha mai detto di essere un genio. Non ha mai chiesto concessioni per le sue disabilità. Voleva essere considerato “uno scienziato prima di tutto, uno scrittore di divulgazione scientifica in secondo luogo e, in tutti i modi che contano, un normale essere umano con gli stessi desideri, pulsioni, sogni e ambizioni di ciascuno”. Era una persona incredibilmente determinata, spesso ostinata, di certo arrogante. Scherzava, con umorismo amaro, sulla sua condizione. Non era lui ad alimentare l’immagine romantica del genio in sedia a rotelle, simbolo del trionfo della mente sul corpo. Mente velocissima costretta a comunicare con un congegno elettronico, formulando una parola al minuto muovendo i muscoli facciali, gli unici di cui aveva ancora un qualche controllo.

Togliete tutta la cosmesi fatta dai media e troverete, non un genio della fisica come Einstein, Galileo o Newton, capaci di avere un impatto sostanziale sull’intero corpo della fisica, ma uno dei grandi della cosmologia teorica.

Le sue condizioni fisiche hanno determinato il suo modo di fare ricerca: molto concettuale, poco sperimentale, spesso speculativa. Di certo era molto apprezzato dalla comunità scientifica per i suoi notevoli contributi, a volte rivoluzionari, alla comprensione della fisica e della geometria dell’universo.

Breve digressione. Esiste l’indice H, dove H sta per Hirsh, che combina la produttività, ovvero il numero di articoli scientifici pubblicati, con l’impatto, ovvero il numero di citazioni da parte di altri ricercatori. Non importa quanto sia significativo o affidabile, è comunque un criterio di misura dell’attività accademica. Un valore di H superiore a 60 per chi ha più di 20 anni di attività di ricerca è considerato eccezionale. Stephen Hawking ha un indice H superiore a 130.

Hawking ha conseguito importanti risultati nello studio dei buchi neri. Oltre ad argomentare perché la topologia, ovvero la forma, dell’orizzonte degli eventi deve essere quella di una sfera, ha stabilito notevoli analogie tra il comportamento dei buchi neri e le leggi fondamentali della termodinamica, dove l’area della superficie dell’orizzonte degli eventi e la sua gravità superficiale si sono rivelate analoghe, rispettivamente, alle grandezze termodinamiche di entropia e della temperatura. Si è poi interessato agli effetti quantistici in relazione ai buchi neri, cercando di calcolare se minuscoli buchi neri in rotazione, creati da un Big Bang, fossero in grado di irradiare la loro energia rotazionale. Con grande sorpresa trovò come risultato che, indipendentemente da qualsivoglia rotazione, questi oggetti irradiano energia. Data l’equazione della relatività di Einstein E=mc^2, ciò significa che perdono massa. Questa radiazione emessa dai buchi neri, prevista da Hawking, ha preso il nome, di certo appropriato, di radiazione di Hawking. Radiazione così leggera da non essere osservabile, dati i metodi e le tecniche disponibili oggi.

Risultati di grande importanza dal punto di vista teorico che hanno definito la teoria della termodinamica di un buco nero. Combinando le procedure della teoria del campo quantistico con quelle della relatività generale, Hawking ha stabilito che è necessario introdurre un terzo soggetto, la termodinamica.

Questi sono contributi che la comunità scientifica considera possano avere profonde implicazioni per la definizione di future teorie di fisica di base, ma quali siano i dettagli di tali implicazioni è oggetto di animato dibattito. (Ringrazio Roger Penrose per quanto appena descritto).

Tutto chiaro? No, non lo è, perché esiste un limite a quanto si possano banalizzare temi complessi in nome della divulgazione scientifica. Se lo si supera si raccontano cose inesatte. Se volete saperne di più, prendetevi il tempo necessario e studiate. Trovate tutto in rete.

Insomma, Hawking è stato un grande fisico, una delle figure di riferimento della fisica del XX secolo. Non è stato un genio come pensa buona parte dell’opinione pubblica, ma ben pochi fra i colleghi. I suoi risultati sono stati straordinari, ma la sua fama è stata alimentata dalla sua condizione. Nulla togliendo all’uomo che ha usato al meglio delle possibilità il tempo e le abilità che una terribile malattia gli ha progressivamente portato via, è stato più una celebrità che un fisico.

Celebrità che ha alimentato un’insaziabile voglia di rilasciare ai media ben pagate roboanti dichiarazioni, spesso autocelebrative, su problemi e argomenti di cui sapeva poco o nulla. Per rendersene conto è sufficiente andare a leggere le sue dichiarazioni su come l’Intelligenza Artificiale porrà fine al genere umano (bbc.com/news/technology-30290540 del 2 dicembre 2012) definite dai media: “Un genio di professore fa predizioni geniali sul futuro”. Affermazioni che stendono un velo di amarezza e di tristezza su un personaggio il cui contributo alla ricerca, per quanto specialistico e rarefatto, è innegabile.

Hawking troppo spesso ha dimostrato di fare buon uso del “brand” del suo nome, spesso uscendo per fini materiali dal suo seminato. Un comportamento forse necessario, molto umano e normale, ma lontano dai valori etici e intellettuali che i fisici tengono in grande conto. Vero anche che ha usato il suo “brand” per promuovere campagne umanitarie, ad alto valore sociale, come quelle relative al servizio sanitario pubblico del Regno Unito.

Hawking era un uomo, come tutti noi. Nulla da criticare, di certo nulla da giudicare.

Genio? Ai posteri l’ardua sentenza.