Dal 2003 i casi di donne morte per la violenza maschile in Spagna sono stati quasi la metà di quelli in Italia. Ma la differenza iberica è strutturale: le vittime hanno a disposizione spazi dedicati per le denunce con unità forensi e mediche specializzate e spesso sportelli con psicologi, assistenti sociali e avvocati a disposizione. E nelle scuole si fanno lezioni su femminismo, violenza di genere e prevenzione degli stereotipi discriminatori
Nella lotta a femminicidi e violenza di genere, la Spagna può essere il modello da studiare e da replicare. Mentre in Italia la mancanza di preparazione di molti giudici è ancora cronica, gli iberici hanno da tempo affrontato la questione creando tribunali speciali e lavorando nelle scuole. L’idea alla base è che la discriminazione di genere sia un problema culturale da contrastare alla radice, sensibilizzando i cittadini, e affrontare con le leggi più avanzate. L’ultima prevede che dal primo gennaio la Spagna è il primo Paese in Europa ad avere un sistema di contabilizzazione dei femminicidi. Intanto in Italia, come nel resto dell’Europa i casi non si fermano: il 2 gennaio a Varese il 40enne Davide Paitoni ha ucciso il figlio di 7 anni per “punire” l’ex compagna che ha poi tentato di acoltellare ; il 5 gennaio è stato ritrovato a Trieste è stato ritrovato un cadavere che si presume possa essere di Liliana Resinovich, sparita da oltre tre settimane. Senza dimenticare le violenze avvenute la notte di capodanno a Milano, dove si indaga su almeno 5 episodi di violenza sessuale di gruppo.
Le leggi e “il patto di Stato contro il maschilismo” – Dal 2003 i casi di femminicidio in Italia sono stati quasi il doppio rispetto a quelli spagnoli, rispettivamente 9,4 e 4,6 ogni 100mila donne, in totale 2853 morti in Italia e 1114 in Spagna. “Quando la Spagna ha creato il ministero dell’Uguaglianza, la ministra Bibiana Aído ha parlato all’Unione Europea della necessità di effettuare un conteggio delle donne assassinate per violenza di genere”, racconta Amparo Rubiales, ex politica del Partito Socialista di Zapatero nei primi anni 2000. “La maggior parte dei Paesi si negava perché i dati erano spaventosi. Già da quel momento, con quella richiesta, la Spagna diventò un punto di riferimento”, aggiunge. Il conteggio è sempre al ribasso, perché Italia e Spagna non considerano le donne scomparse, i suicidi, che spesso nascondono femminicidi o sono indotti da violenza psicologica, e gli apparenti incidenti casalinghi.
La battaglia spagnola contro la violenza di genere iniziò nel 1997, quando Ana Orantes denunciò le violenze del marito in diretta televisiva. Poco dopo venne uccisa. Erano gli anni in cui la violenza sessuale in Italia passava dall’essere reato contro la morale pubblica a reato contro la persona. Il femminicidio di Orantes scatenò un dibattito pubblico culminato prima nel Plan de acción contra la violencia doméstica del 1998, che ha introdotto il delitto di “violenza psicologica esercitata con carattere abituale” e il distanziamento fisico tra l’aggressore e la vittima, e poi nella ley orgánica contro la violenza di genere del 2004.
Anche se risale a più di un decennio fa, la Ley orgánica è considerata tra le più avanzate a livello europeo e mondiale per il contrasto alla violenza di genere, perché la affronta da una prospettiva non solo legale, ma anche strutturale, come sostengono le fonti consultate. Infatti, ha introdotto corsi sull’uguaglianza di genere, regolato il campo pubblicitario per impedire la perpetrazione di un’immagine discriminatoria della donna e, soprattutto, creato tribunali speciali sul tema. “La legge contro la violenza di genere è pioniera. Adesso dobbiamo concentrarci su un patto di Stato contro il maschilismo. Questo flagello è ancora visibile”, dice Rubiales.
I tribunali speciali: come funzionano e cosa succede dopo la denuncia – Oggi in Spagna ci sono 106 tribunali dedicati alla violenza di genere e altri 351 che si occupano del tema assieme ad altre questioni penali e civili. Come spiega la magistrata valenziana Lara Esteve, una donna che si reca in tribunale può contare sulla presenza di unità forensi e mediche specializzate e nella maggioranza dei casi di uno sportello dove psicologi, assistenti sociali e avvocati la informano sugli aiuti a disposizione. Così la vittima può ricevere gratuitamente assistenza psicologica, avere accesso ad aiuti economici e a una casa, assentarsi dal lavoro senza ripercussioni o chiederne un altro. “Questa legge riconosce che la lotta contro la violenza di genere è un obbligo di tutta la società e che la violenza è strutturale, perché il delitto si commette in una condizione di disuguaglianza, potere e discriminazione”, sostiene Esteve.
Tutte le questioni di violenza di genere vengono risolte nei tribunali speciali. Lì in poco tempo la donna può sollecitare misure di carattere penale, come il divieto di avvicinamento dell’aggressore, civile, come la protezione dei figli per evitare che assistano ad altri episodi di violenza, e sociale, come l’assistenza giuridica. La vittima ha infatti a disposizione un avvocato che la difende gratuitamente in tutti i procedimenti, anche nel caso in cui l’aggressore infranga le restrizioni.
Da questa solida base, la legge spagnola ha continuato a perfezionarsi, grazie soprattutto alle spinte dell’opinione pubblica dopo lo stupro compiuto da cinque ragazzi ai danni di una ragazza di 18 anni durante la festa di san Firmino a Pamplona nel 2016, conosciuto come la Manada. Tra le ultime misure la ley del solo sì es sì, in fase di approvazione, che regola il consenso nel rapporto sessuale e introduce il reato di catcalling, in Italia considerato come “molestia o disturbo alle persone” e non delitto contro la dignità della persona. Ana Bella, attivista e vittima di violenza di genere per oltre 10 anni, gestisce una fondazione a suo nome e conosce bene il rapporto che la società e le istituzioni hanno avuto in questi anni: “Spesso la società ha anticipato la legge e ha aiutato la Spagna, però in altri casi è stato anche l’opposto”.
In Italia, il Codice Rosso approvato nel 2019 ha introdotto nuovi delitti, come la deformazione dell’aspetto della persona e l’induzione al matrimonio, e obbligato i giudici ad ascoltare la vittima entro tre giorni, cercando di offrire assistenza nel più breve tempo possibile. Il problema, come sostiene la giudice consulente della Commissione femminicidi del Senato Paola Di Nicola Travaglini, non riguarda le leggi quanto il grado di preparazione della giustizia italiana su questo problema: “Abbiamo una legislazione tra le più avanzate d’Europa e del mondo. Molto efficace, seria e utile a prevenire e non solo a tutelare le vittime. Le norme però sono in gran parte male applicate, quindi è un problema di formazione degli operatori”, afferma. Fatta eccezione per le grandi città i giudici non sono specializzati, mentre il 95% dei tribunali civili non è formato dal punto di vista giuridico e culturale a identificare i casi di violenza domestica nelle cause di separazione coniugale, secondo il Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella giustizia della Commissione femminicidi. Ai 25 eventi di formazione della Scuola Superiore della Magistratura ha partecipato solo il 13% dei magistrati, nei 100 del Consiglio Nazionale Forense lo 0,4% degli avvocati. In molti casi i giudici non sono consapevoli degli strumenti che hanno a disposizione, come ha evidenziato il Progetto STEP, dell’Università della Tuscia e la rete nazionale antiviolenza D.i.Re. L’Italia è stata tra i primi paesi a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione della lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, conosciuta come Convenzione di Istanbul, che però appare in poco più del 3% delle sentenze.
In Spagna, l’esistenza dei tribunali speciali ha portato a una maggiore specializzazione di tutto il personale giudiziario, sebbene non esista alcun obbligo. “Ci sono corsi di prospettiva di genere o penali, però non sono determinanti per accedere al tribunale sulla violenza contro le donne”, spiega Esteve, che ha un ruolo primario nella formazione dei giudici, delle forze dell’ordine e di tutti i funzionari del settore. Ma la violenza di genere è presente nei testi da utilizzare per i concorsi, negli esami delle scuole giuridiche e nei continui corsi di aggiornamento sugli stereotipi. Da luglio il governo ha introdotto anche la formazione obbligatoria e annuale per le forze dell’ordine.
Scuola, le lezioni su “storia del femminismo” e la violenza di genere – Nel sistema scolastico, l’uguaglianza di genere è arrivata negli istituti grazie alle iniziative delle Comunità Autonome, che hanno declinato il tema nelle loro offerte formative in modo diverso da Regione a Regione. Un esempio è quello della Galizia, dove nei primi due anni di 27 scuole medie esiste un corso diviso in quattro blocchi: la costruzione sociale delle identità sessuali e di genere, la convivenza e le relazioni tra i sessi, la discriminazione e l’uguaglianza di opportunità e le conseguenze provocate dalla violenza machista. In 60 centri educativi della Castiglia-La Mancia si insegna la materia “Uguaglianza, tolleranza e diversità”, a cui viene dedicata un’ora settimanale in quinta elementare o terza media. In questo caso si spazia dalla storia del femminismo alle tipologie di violenza di genere e l’individuazione degli stereotipi maschilisti e discriminatori.
Tutti questi esperimenti hanno trovato una loro dimensione nazionale nell’ultima legge sull’Educazione, approva alla fine del 2020. Nelle scuole primarie e secondarie è stata introdotta la materia “Valori civici ed etici”, una sorta di educazione civica che include i temi dell’uguaglianza di genere, del femminismo e della prevenzione contro la violenza machista. Ma i cambiamenti più rilevanti sono quelli che riguardano in maniera trasversale tutte le discipline, come nel caso dei libri di testo e materiali didattici dove appaiono più donne rispetto al passato, e la promozione della presenza delle alunne in discipline con più quota maschile, come quelle tecnologiche, e viceversa. “Lavoreremo sull’uguaglianza dalla radice”, recita lo spot promozionale della legge. Non sono mancate, però, le polemiche: la bozza del nuovo decreto sull’educazione delle scuole medie prevede solo 35 ore annuali per “Valori civici ed etici”, mentre a Religione ne sono destinate 105.
In Spagna ci sono più denunce e si possono fare in 5 luoghi diversi – Bella ha denunciato le violenze del marito soltanto dopo 11 anni di abusi, nel 2001. Più volte il partner, che era solito picchiarla con una cinta, ha infranto i divieti di avvicinamento, fino a quando ha smesso. Sembrava strano, dopo tutta quella insistenza, ma poi si è scoperto il perché: stava facendo lo stesso con un’altra donna. “Il mio ex marito mi picchiava ma io non mi ero mai identificata come donna maltrattata. Vedevo notizie di donne assassinate e pensavo: ‘Perché non è scappata?’ Non mi rendevo conto di essere una di loro”.
Bella è diventata un punto di riferimento per le vittime di violenza di genere in Spagna. Oggi lavora nella sensibilizzazione in parallelo con il governo e le aziende, come fa Lara Esteve, non solo magistrata ma anche membro dell’Associazione spagnola delle donne giudici, che ha portato l’uguaglianza di genere in molte scuole. “Il nostro lavoro complementa quello delle istituzioni”, afferma Bella, che con altre donne vittime organizza corsi sulla prevenzione in alcuni centri educativi. E non c’è giorno in cui non venga alla luce un abuso: “Poco tempo fa una ragazza ha cominciato a svestirsi e ci ha mostrato i segni lasciati da un pestaggio compiuto dal ragazzo. Era una minore, abbiamo chiamato la madre. Non siamo ancora riuscite a farla denunciare, non è tanto facile come la società pensa”, aggiunge.
Nonostante questo, gli strumenti che le donne spagnole hanno a disposizione spingono a denunciare di più gli abusi. In Italia solo il 15% delle vittime lo fa, mentre in Spagna la cifra si eleva al 26%. Ma è proprio il dato sulle denunce a colpire: sono circa 42.000 in Italia nel 2020, più di 150.000 in Spagna. Se nel nostro paese queste segnalazioni si riferiscono ai cosiddetti “reati spia”, che coinvolgono le percosse, i maltrattamenti familiari, la condivisione di materiale pornografico, la violenza sessuale e gli atti persecutori, dai vicini iberici le categorie salgono a 13 e includono anche denunce per aborti, mancato rispetto delle sanzioni o danni contro la libertà della persona. In Spagna adesso si può denunciare in cinque luoghi diversi: la Guardia Civil, la polizia nazionale, la polizia locale, i tribunali dedicati alle donne e i juzgados de guardia, una specie di pronto soccorso della giustizia aperto 24 ore su 24.
In generale in Spagna spesso sono le istituzioni ad agire in nome della donna, senza bisogno che sia lei a denunciare. “La nostra normativa è cosciente del fatto che la denuncia per la donna non è sempre la prima opzione. In molte occasioni la vittima non si sente pronta a denunciare perché ha una dipendenza economica, sentimentale, o perché non sa cosa succederà ai suoi figli”, spiega Esteve.
Questo scenario si ripercuote anche sull’Indice di parità di genere, dove la Spagna occupa l’ottava posizione, subito dopo i paesi nordici, mentre l’Italia è quattordicesima. Il belpaese è cresciuto specialmente nella sfera del potere, dove la rappresentanza femminile è aumentata grazie alle quote rosa, ma ha perso punti nella sfera del tempo, quella che concerne la famiglia e la casa, ancora prerogativa della donna. La Spagna a gennaio ha pareggiato il congedo di paternità e maternità portando entrambi a 12 settimane. In Italia il Family Act dovrebbe aumentare quello di paternità da 10 a 90 giorni.