È stata scarcerata lo scorso 6 gennaio, in modo inatteso, la principessa Basma bint Saud bin Abdulaziz al Saud, figlia del secondo sovrano dell’Arabia Saudita (dal 1953 al 1964) Saud bin Abdulaziz al Saud, imprenditrice e soprattutto cugina dell’attuale erede al trono Mohammad bin Salman (Mbs) che ne aveva disposto l’arresto nel marzo 2019. Lo ha fatto sapere il legale della principessa, Henri Estramant, confermando la liberazione anche di Souhud al Sharif, figlia di Basma, che era stata prelevata dalle autorità saudite insieme alla madre quasi tre anni fa nella loro abitazione di Jeddah, dove in questi giorno hanno fatto ritorno.

Non sono del tutto chiare le motivazioni alla base della sua liberazione da quella che l’avvocato Estramant ha definito una “detenzione arbitraria”, ma la sua storia si aggiunge a quella di molti altri dissidenti politici – anche numerosi membri della famiglia reale – fatti arrestare in questi anni da Mbs. Basma è stata imprigionata nel carcere di Al Ha’ir, vicino Riyad, lo stesso in cui era stata incarcerata Luojain Al Hathloul, celebre attivista per il diritto alla guida alle donne saudite, liberata lo scorso febbraio. Al Hathloul non ha, da quel momento, mai rilasciato dichiarazioni, e la sua famiglia ha confermato che la 32enne ha subito torture durante la detenzione.

Alcuni anni fa anche Basma, che non ha mai avuto incarichi ufficiali nel Regno e viveva perlopiù a Londra, su diversi media internazionali aveva criticato il sistema giudiziario saudita, basato sulla interpretazione wahhabita della Shari’a, non subendo però dirette conseguenze per queste opinioni. Nel corso di un’intervista rilasciata nel 2018 alla Bbc, Basma aveva accusato Mbs, senza nominarlo, di essere poco tollerante con coloro che esprimevano dubbi o critiche rispetto al suo programma di riforme, denominato Vision 2030. Come ricorda il New York Times, il governo saudita non ha mai commentato pubblicamente il caso di Basma ma nel 2020 la missione diplomatica saudita presso le Nazioni Unite aveva genericamente legato il suo arresto a “reati legati al tentativo di lasciare illegalmente il Regno“.

Al tempo dell’arresto, un parente di Basma aveva dichiarato che la principessa era “sospettata” di aver tentato di falsificare un passaporto, anche se non le è mai stata notificata alcuna accusa ufficiale. È però forse anche con questo pretesto che le autorità saudite continuano a non concedere il diritto all’espatrio: un aspetto molto problematico, sostiene il suo avvocato, perché la figlia dell’ex re saudita, 57 anni, soffre da qualche tempo di seri problemi di cuore che necessitano di cure non disponibili in Arabia Saudita.

In condizioni molto peggiori versano invece altri membri della famiglia reale (inclusi due figli dell’ex re) come Mohammad bin Nayef, ex primo ministro saudita, rimosso dalla sua posizione da Mbs, che così ha voluto estrometterlo dalla corsa al trono, e arrestato nel marzo 2020. Secondo i suoi avvocati, Mohammad bin Nayef è stato dapprima tenuto in isolamento e poi sottoposto a diverse forme di tortura, come la privazione del sonno o la sospensione a testa in giù per le caviglie. Oggi 62enne, Mohammad bin Nayef non ha accesso a televisione o internet e ha potuto comunicare con i familiari solo in poche occasioni. Cammina con l’aiuto di un bastone e dallo scorso autunno lo fa non più all’interno di una cella ma in una villa all’interno di un complesso adiacente al palazzo reale di Al Yamamah, a Riyad, dove è stato trasferito.

Sempre in una villa, o meglio, in un complesso residenziale “a sette stelle”, come è stato definito in una clamorosa inchiesta del Guardian, risiederebbero invece alcuni degli autori materiali dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, ordinato da Mbs nel 2018. Mustafa al Madani, Mansour Abahussein ed il medico legale, famoso per aver dissezionato il corpo di Khashoggi, Salah al Tubaigy sono tutti stati visti all’interno di questo compound gestito direttamente dall’intelligence saudita, dotato di ogni comfort, e nel quale in linea teorica starebbero scontando una condanna per l’omicidio perpetrato all’interno del consolato saudita di Istanbul.

La notizia della loro “villeggiatura detentiva” è peraltro quasi contemporanea all’ennesima tensione tra Francia e Turchia, collegata al rilascio, da parte della polizia francese che lo aveva arrestato all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi lo scorso 7 dicembre, di un uomo inizialmente identificato come Khaled Aedh Al Otaibi, e collegabile all’omicidio Khashoggi. Dopo che la Gendarmerie francese ha lasciato andare il sospettato, adducendo uno scambio di identità, le autorità turche – coinvolte in diverse indagini sull’omicidio del giornalista saudita-americano – hanno prontamente commentato sostenendo che si trattasse invece dell’uomo giusto, improvvidamente rilasciato.

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