Presidenti litigiosi e mai d’accordo su nulla, chi vuole fermare tutto, chi giocare ad ogni costo. Calciatori in vacanza in giro per il mondo tra spiagge esotiche e feste di lusso, per poi tornare positivi alla base. Dirigenti impreparati, partite saltate o disputate in condizioni precarie, Asl contestate e portate in tribunale, quarantenati in campo che poi magari si rivelano pure positivi (tipo Zielinski), pubblico assembrato sugli spalti. Il calcio italiano è, come sempre, semplicemente indifendibile. Ma merita davvero di essere l’unico a pagare per il Covid, come se fosse l’artefice e la soluzione di questa nuova emergenza?

Ancora una volta, di fronte alla difficoltà (cioè all’epidemia), la Serie A ha fatto una figura pietosa. Ed è stata punita: quella di domenica è stata l’ultima giornata con gli stadi pieni (al 50%), mercoledì dovrebbe esserci ancora la Supercoppa (salvo colpi di scena dell’ultimo minuto), quindi dalla prossima si torna a porte chiuse (massimo 5mila spettatori) almeno fino alla sosta di fine gennaio, poi si vedrà. Questa chiusura, però, non è una misura seria, credibile, giustificata da fatti e dati. È solo una ritorsione, che per altro la Lega calcio si è auto-inflitta: ha fatto buon viso a cattivo gioco, perché sarebbe stato poco intelligente dire di no a Mario Draghi e mettersi contro il governo, e così spera di evitare mali peggiori (essenzialmente salvare la Supercoppa, che con 25mila biglietti già venduti e un incasso di almeno 3 milioni di euro promesso a Inter e Juventus, se fosse arrivato un intervento governativo non si sarebbe potuta giocare).

La domanda che le istituzioni però dovrebbero porsi è: ha davvero senso chiudere gli stadi? E soprattutto, ha senso chiuderli in questa maniera? Massimo 5mila spettatori. Ovunque: a San Siro che sarà un deserto, come a La Spezia, Empoli, o al Penzo di Venezia, dove sono più del 50% previsto dalla vecchia normativa e quindi continueranno ad esserci assembramenti. In questo caso, ovviamente, vale la regola più restrittiva, ma il paradosso rende bene l’idea del pasticcio. Il calcio paga per la propria incapacità e impreparazione, però è difficile trovare coerenza in questo provvedimento.

I contagi, come sottolineano i presidenti, sono saliti nelle ultime settimane in cui il campionato era fermo. Vero, anche se ciò non toglie che gli stadi potrebbero ulteriormente alimentare l’epidemia. Ma il punto è un altro. In un momento in cui il governo ha fatto la scelta di tenere aperto tutto, lo sport è praticamente l’unico settore colpito. Nelle scuole oggi tornano milioni di studenti senza vaccino e senza adeguate misure, ci sono i mezzi di trasporto stracolmi, vanno avanti cinema, ristoranti, teatri, ma chiudono gli stadi dove ci saranno pure degli assembramenti, ma entrano soltanto vaccinati, all’aria aperta. Se sono un problema (e probabilmente lo sono, in una fase così delicata), arrivano in fondo alla lista. Sarebbe bastato far rispettare le norme su distanziamento e mascherine (che non venivano osservate) per garantire di vedere una partita di pallone in sicurezza, cosa che non si può dire di altre attività.

Quanto alla proposta di fermare i campionati (come vorrebbe il ministro Speranza), è assurdo non riconoscere la specificità di professionisti di alto livello che hanno la possibilità di essere controllati continuamente, e non concedere delle deroghe alle normali quarantene (finché si tratta della loro attività professionale, non ovviamente nella sfera privata dove sono comuni cittadini). Si gioca in tutto il mondo, si giocava anche un anno fa senza vaccini e col Paese in lockdown, perché non si dovrebbe farlo ora. La verità è che oggi la Serie A subisce un provvedimento demagogico e per certi versi “punitivo”, perché senza lo spettacolo indecoroso della giornata dell’Epifania probabilmente la chiamata di Draghi non sarebbe mai arrivata. Ma serviva uno scalpo da dare in pasto all’opinione pubblica, e il pallone è perfetto. Colpiamo la Serie A, che tanto se lo merita sempre. Stavolta, forse, un po’ meno.

Twitter: @lVendemiale

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