È il 23 maggio 2022, inizia la commemorazione ufficiale della strage di Capaci: sono passati trent’anni, prende la parola il Presidente della Repubblica che ha voluto essere personalmente presente… Ecco, e ora continuate voi l’esercizio di immaginazione: chi pensate dovrebbe essere lì, in quel momento, a parlare rappresentando il popolo italiano?
Il Presidente della Repubblica che uscirà dagli scrutini che cominceranno il 24 gennaio, infatti, avrà tra le sue prime occasioni pubbliche per rivolgersi agli italiani proprio il trentennale delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, le stragi che rappresentarono un bivio drammatico per la nostra democrazia, le stragi che purtroppo non hanno ancora smesso di produrre i loro effetti (nel male, ma anche, non vi suoni come uno sproposito, nel bene).
Intendiamoci: non esiste il “popolo italiano” con un cuor solo e un’anima sola. Abbiamo imparato che questa idea di popolo fa parte dell’armamentario di duci e ducetti che sistematicamente si intendono e si propongono come suoi autentici interpreti e non a fin di bene.
Il “popolo italiano” era fatto allora ed è fatto anche oggi da chi brindò allegramente alla notizia dell’attentatuni, da chi si sentì sollevato sperando che l’attenzione dell’opinione pubblica avrebbe avuto qualcosa (d’altro) su cui concentrarsi, da chi scavalcò la notizia con l’indifferenza atavica del “non sono fatti miei”, da chi ci dedicò l’attenzione che si può dedicare a qualunque notizia impressionante che passa il Tg, da chi sinceramente si commosse, si indignò, manifestò il proprio dolore e la propria rabbia e da chi decise di fare qualcosa per raccogliere quel testimone e continuare l’impegno per un Paese libero da mafie e corruzione. Insomma: il “popolo italiano” è un fatto umano molto complesso e ha del miracoloso che, nonostante tutto, in qualche modo, si tenga insieme.
Ma è proprio qui che si innesta il potere della politica, la sua responsabilità morale, e cioè nel decidere volta dopo volta a quale componente di questo “fatto sociale” rivolgersi, a quale dare rappresentanza e a quale no. La politica agisce scegliendo quali memorie pescare dalla storia, con quali parole descrivere il presente, con quali promesse traghettare il Paese verso il futuro. La politica in questo modo amplia o restringe il sentimento di appartenenza alle istituzioni democratiche e sappiamo quanto gravi siano le conseguenze che si producono a mano a mano che il perimetro di questo sentimento si restringe: dall’evasione fiscale all’astensionismo elettorale, dalla violenza terroristica alla illegalità diffusa, dalla emigrazione all’estero di migliaia di giovani al clientelismo corrosivo e corrotto.
In Italia c’è senz’altro un “territorio” particolarissimo nel quale si gioca questa capacità della politica di ampliare o restringere il sentimento di appartenenza alle istituzioni ed è quello del rapporto con mafie e mafiosità. Un rapporto che ha oscillato tra antagonismo e sottovalutazione, per non dire compiacenza. Ma la violenza mafiosa e la cultura mafiosa del potere non sono acqua passata, purtroppo zampillano continuamente come sangue da un aneurisma che pare impossibile chiudere: basta riflettere su quanto sta capitando nel foggiano in questi giorni.
Questo sommo potere politico avrà uno straordinario momento di realizzazione proprio nell’elezione del Presidente della Repubblica: sarà bene che a essere scelta sia una persona capace di rappresentare in maniera autorevole quella parte di popolo italiano che non ha perso la fiducia nella legalità democratica, che non ha perso fiducia nella giustizia di cui sono capaci i nostri Tribunali, che continua a cercare la verità sulle stragi perché si possa non soltanto rimarginare una ferita profonda, ma anche aiutare la Repubblica a diventare più forte.
Allora, quando questa persona prenderà la parola a Palermo nel trentennale della strage di Capaci, saprà dire a questa Italia: non vi siete sbagliati, non avete sprecato la vostra vita, non siete dei fessi, avete fatto la cosa giusta e vi prometto che insieme continueremo per questa strada, la strada sulla quale hanno camminato Falcone e Borsellino, che è la stessa strada che hanno aperto i partigiani e le partigiane combattendo contro fascisti e nazisti, la strada della resistenza a ogni dispotismo, la strada dell’emancipazione da ogni abuso di potere. La strada della libertà.