Confindustria scalpita. I prezzi dell’energia stanno correndo troppo e “lo shock energetico è un problema per tutte le filiere, il rischio che corriamo, oltre al blocco della produzione che sta già avvenendo in alcuni settori, è che le aziende spostino altrove la produzione”. Lo ha detto oggi uno dei 13 vicepresidenti dell’associazione degli imprenditori italiani, Maurizio Marchesini, aggiungendo che “Il costo dell’energia per le imprese nel 2019 è stato di 8 miliardi, nel 2021 di 20 miliardi e la previsione per il 2022 è di 37 miliardi”. “Il Governo agisca subito”, è “una tempesta perfetta”. Gli industriali insomma vogliono altri soldi. Il problema esiste ed è comune a tutta Europa. Anzi l’Italia se la passa persino un poco meglio di tanti altri. Le bollette tedesche sono aumentate del 60%, in Polonia del 54%, in Italia del 40%. Storicamente il prezzo dell’energia è superiore alla media europea per le imprese medie e soprattutto piccole, è invece inferiore per le aziende più grandi. La bolletta è alta ma non più di quanto lo sia stata nel 2011 o nel 2012 quando superò, in valori correnti, i 67 miliardi di euro.
Alla base dei rincari energetici c’è soprattutto la corsa del gas. Mosca, che rifornisce l’Europa di poco meno della metà del gas che il Vecchio Continente consuma, apre e chiude i rubinetti a suo piacimento. Anzi, nelle ultime settimane si è assistito addirittura ad un’inversione dei flussi del gasdotto Yamal che corre dalla Russia alla Germania attraversando Polonia e Bielorussia. In pratica il gas mandato in Germania è tornato indietro. Secondo il Cremlino perché Berlino lo ha rivenduto. Il governo tedesco non ha commentato. In questo momento i prezzi sono raffreddati dall’arrivo di flotte di navi che trasportano gas liquido, “dirottate” dalla rotta asiatica a quella verso l’Europa dalle alte quotazioni. Una toppa temporanea. Nel frattempo il costo dei diritti di emissione di Co2 sale, questo spinge fuori mercato le centrali più inquinanti e provoca una pressione al rialzo sui prezzi.
Sta di fatto che si inizia a guardare con occhio famelico al tesoretto che si trova sotto il suolo italiano. Che è davvero davvero poca cosa, va detto. Secondo i dati dell’Eni le riserve naturali italiane di gas ammontano a 40 miliardi di metri cubi. Per intenderci si tratta di meno di un millesimo delle riserve russe (le più grandi al mondo) o di un centesimo di quelle algerine. Si tratta delle cosiddette riserve provate, ossia tarate sulle attuali condizioni di mercato, in sostanza il gas effettivamente disponibile potrebbe essere di più ma l’ordine di grandezza è questo. Se decidessimo di affidarci solo al nostro gas avremmo forniture sufficienti per circa sei mesi, dopo di che i giacimenti , situati per lo più nell’Adriatico, sarebbero completamente svuotati. Però l’occasione è propizia e così il governo e gli imprenditori starebbero mettendo a punto un piano per raddoppiare la quantità di gas estratta dai giacimenti nostrani, portandola da 4 a 8 miliardi di metri cubi l’anno. Attenzione, non si parla di nuove trivellazioni ma solo di un potenziamento dell’attività dei pozzi già operativi. Un’operazione che avrebbe un costo tra uno e due miliardi di euro e che darebbe un qualche minimo sollievo alle tasche di famiglie e imprese per alcuni anni. Sempre ammesso che nel frattempo i prezzi internazionali non comincino a scendere. A quel punto tutta l’operazione potrebbe diventare un autogol o non cambiare praticamente nulla.
Da giorni il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore batte su questo tasto, citando le opinioni di rappresentanti di aziende italiane del settore che “non vogliono rivelare la loro identità “visti i temi, la sensitività del mercato e i dettagli sulla concorrenza”. Ieri è sceso in campo il delegato per l’energia Aurelio Regina, uno dei nomi storici della dirigenza confindustriale, che ha spiegato che l’associazione “non ha intenzione di restare con le mani in mano e sta portando avanti diverse soluzioni alla questione” tra cui “Vogliamo anche incrementare la produzione nostrana: è stato già raggiunto un accordo con il maggior operatore italiano, disponibile ad un investimento di 2 miliardi che permetterebbe nel giro di 12-15 mesi di avere a disposizione 4 miliardi di metri cubi di gas italiano che sarebbe stoccato a prezzi agevolati per l’industria“, ha aggiunto. La Lega ha annunciato che domani presenterà il suo piano per incrementare l’estrazione.
Sullo sfondo si muovono le ombre dei finanziamenti europei. La Commissione Ue sta mettendo a punto la sua lista delle fonti meritevoli di finanziamento. Nella bozza, su cui è in corso un braccio di ferro tra Berlino e Parigi mentre Roma, come ha detto ieri il ministro dei Trasporti Enrico Giovannini, “sta studiando”, compaiono sia il nucleare che il gas. Tuttavia i criteri per includere il meno inquinante dei combustibili fossili sono severi e, al momento, rischiano di tagliare fuori molti dei piani di investimenti concepiti in Italia.