“L’Unione europea non è un incidente della storia”. Una frase che per David Sassoli è diventata programma politico. Ripetuta una, due, tre volte nel suo discorso d’insediamento come presidente del Parlamento Ue, è diventata il testamento più fedele del suo mandato a Bruxelles iniziato proprio nel pieno della stagione dei nazional-populismi, delle divisioni aspre tra gli allora 28 Stati membri, della Brexit vissuta come una ferita difficile da rimarginare, degli scontri sulla questione migranti, per la quale ha sempre chiesto solidarietà sia dentro che fuori dall’Ue, e sul rispetto dello stato di diritto. Ha ereditato la poltrona più importante della Plenaria in un’Europa mai stata così debole e ne è rimasto al timone fino alla fine, dopo quasi due anni di pandemia che hanno ulteriormente minato la tenuta delle istituzioni comunitarie.
“Io sono figlio di un uomo che a 20 anni ha combattuto contro altri europei. E sono figlio di una mamma. Anche lei, a 20 anni, ha lasciato la propria casa e ha trovato rifugio presso altre famiglie”. Tutto ciò non doveva più accadere e per questo fin da quel suo primo messaggio, deciso ma commosso, pronunciato di fronte ai colleghi dell’Eurocamera ha sottolineato l’importanza di “quell’ansia di giustizia” quel “desiderio di fraternità” ai quali non si sarebbe mai più dovuto rinunciare, anteponendo alla “degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia” l’antidoto trovato dai padri fondatori dell’Europa.
Lampi di quella degenerazione, nel corso del suo mandato, David Sassoli ha dovuto combatterli fin dall’inizio. Ha ereditato un’Europa dove tornavano le cortine di filo spinato, dove venivano varate leggi che limitavano le libertà di giudici, giornalisti, difensori dei diritti umani e minoranze, dove all’immigrazione di massa si voleva rispondere con le barriere, i porti chiusi, l’uso della forza militare e la criminalizzazione delle ong. Il suo impegno contro questa deriva illiberale è testimoniato anche dal comportamento dei deputati dell’allora Brexit Party di Nigel Farage che, proprio in occasione di quel suo primo discorso, decisero di disertare la Plenaria. Fu solo il primo attacco nei confronti di Sassoli e della sua idea di Unione. Poi ce ne furono altri, come le spalle voltate durante l’Inno alla Gioia nel corso della prima seduta o l’attacco personale rivoltogli dall’ex eurodeputata Belinda De Lucy, anche lei membro del partito antieuropeista britannico, che lo accusò di “ingerenza diretta sulla politica interna” del suo Paese per aver incontrato il presidente del Parlamento di Londra nel periodo dei colloqui sulla separazione del Regno dall’Ue, definendo la sua azione “immorale, si vergogni”.
Ma su questo Sassoli non ha mai compiuto alcun passo indietro. Così come sul rispetto dei diritti umani. In un’Europa sempre meno solidale e sempre più attirata dalla tentazione di nuove barriere, di nuovi muri, è stato l’unico presidente delle istituzioni europee, a differenza dei suoi colleghi Ursula von der Leyen e Charles Michel, che non si è limitato a mettere il veto sui finanziamenti europei a queste barriere, ma a definirle il sintomo di “un certo degrado morale”: “L’Unione non può diventare una fortezza contro la povera gente che scappa dalla guerra, la fame o da regimi infami – aveva dichiarato in un’intervista a Repubblica lo scorso ottobre – Proteggere i nostri confini, specie quando sono minacciati da regimi autoritari, è un dovere nei confronti dei nostri cittadini, ma alzare muri contro persone disperate sarebbe rinnegare i nostri valori e perdere la nostra umanità“. Lo testimonia anche il bel ricordo che gli ha dedicato Mediterranea Saving Humans su Twitter, una delle ong impegnate a salvare migranti nelle acque del Mediterraneo: “Ti hanno attaccato da tutte le parti per quella scelta, far parlare noi che eravamo sotto inchiesta per le missioni di soccorso in mare delle persone migranti – scrivono riferendosi a uno degli eventi organizzati per la celebrazione dei 70 anni della Festa dell’Europa – Lo stesso coraggio ti aveva portato a incontrare numerose altre volte le associazioni impegnate nel soccorso civile nel Mediterraneo e le tue parole contro le politiche dei muri e dei respingimenti sono state sempre molto chiare. Hai fatto molte cose per aiutare persone migranti, profughi e richiedenti asilo, persone bloccate in mare in attesa di un porto sicuro e tenute in ostaggio da ministri senza scrupoli solo per propaganda elettorale. Cose che non sono pubbliche, ma che noi sappiamo perché non ti sei mai tirato indietro quando ti chiamavamo al telefono. Con te se ne va un amico, una persona perbene, un pezzo di quella Europa che sogniamo e per cui continuiamo a lottare”.
Quell’Europa la sognava anche lui, tanto che l’impegno in difesa dei diritti umani è andato oltre la battaglia sulla risposta solidale alla crisi migratoria, quella che all’inizio del proprio mandato definì “il punto di partenza” insieme all’abolizione del diritto di veto in Consiglio Ue, mentre il resto dei leader europei si concentravano sulla svolta green. Si è infatti battuto in prima linea contro l’arresto in Russia di Alexei Navalny, dopo il suo ritorno dalla Germania in seguito al ricovero per l’avvelenamento da Novichok. Dopo le sanzioni imposte dall’Ue, lui e altri funzionari e membri delle istituzioni comunitarie finirono nella blacklist di Vladimir Putin come “persona non grata”. “A quanto pare non sono il benvenuto al Cremlino? Lo sospettavo un po’ – aveva poi commentato su Twitter – Nessuna sanzione o intimidazione fermerà me o l’Europarlamento dalla difesa dei diritti umani, della libertà e della democrazia. Le minacce non ci zittiranno“.
Ha fatto in tempo, però, ad assistere alla prima vittoria in una delle ultime battaglie intraprese in difesa dei diritti umani: quella per la liberazione di Patrick Zaki. Lui che il 16 giugno, per il 30esimo compleanno dello studente egiziano dell’università di Bologna, aveva affidato a Twitter un duro messaggio di condanna nei confronti delle autorità del Cairo: “Oggi Patrick Zaki trascorrerà il giorno dei suoi 30 anni nelle galere egiziane. Zaki non ha fatto nulla, non ha commesso reati. La sua detenzione è una vergogna per chi crede nei valori umani e nei diritti fondamentali della persona. Auguri, Patrick. Non ti lasceremo solo”. Zaki l’8 dicembre scorso è stato liberato e oggi anche lui ha pubblicato il suo ricordo del presidente del Parlamento Ue: “Aveva seguito il mio caso per due anni con vera passione e interesse – ha scritto – Non aveva mai perduto un’occasione per parlare di me e per chiedere il rilascio immediato. Non solo per me, ma per ogni prigioniero di coscienza. Una tale sfortuna non aver avuto la possibilità di incontrarci, ma nei pochi tweet che ci siamo scambiati lui sa quanto ho apprezzato lui e i suoi sforzi. Possa la sua anima riposare nella pace eterna”.
Il suo, però, è stato anche un mandato caratterizzato dalla pandemia di coronavirus, esplosa in Europa circa sei mesi dopo la sua elezione e che ha costretto lui, come tutti gli eurodeputati, a rimanere fisicamente fuori dalle istituzioni comunitarie per tanti mesi. Una situazione che Sassoli ha sofferto fin da subito, tanto da voler accelerare la ripresa della Plenaria di Strasburgo in presenza già dal giugno scorso, esponendosi anche alle critiche di chi si diceva invece contrario. Le parole di ringraziamento per quello sforzo compiuto dalla macchina europea Sassoli le aveva in qualche modo già pronunciate nel corso di un suo commosso intervento avvenuto un anno prima, al termine della seduta straordinaria di luglio 2020: “Sono stati mesi molto difficili – disse – Abbiamo fatto di tutto per far funzionare il Parlamento. E con il funzionamento del Parlamento abbiamo fatto funzionare l’Unione europea”.