Calcio

Il caso Chelsea dimostra che il Fair Play finanziario dell’Uefa è ufficialmente una farsa: colpisce i piccoli, non intacca i grandi

Già indebolito dalla creatività economica in tema di sponsorizzazioni di squadre quali Paris Saint Germain e Manchester City,la misura è stata ulteriormente annacquata dalla decisione della Uefa di considerare gli ultimi quattro esercizi di bilancio, anziché gli ultimi tre, per calcolare il limite consentito dal regolamento di 30 milioni di perdite nel triennio. Risultato: nessun provvedimento per i Blues, ma una serie di sanzioni per club minori ma comunque di prestigio

Il Financial Fair Play (FFP) della Uefa è ormai paragonabile a una corsa automobilistica dove viene imposto un limite massimo di velocità di 180 km/h, per garantire la partecipazione a tutti (o quasi), e poi si permette a Porsche, Ferrari e Aston Martin di correre a 300 all’ora mentre contemporaneamente si fermano le Volkswagen per un fanalino posteriore spento. Uno strumento di controllo meritevole ridotto in burletta, come dimostra l’ultimo, paradossale caso del Chelsea campione d’Europa: 250 milioni di euro di perdite complessive in tre anni, ma in attivo di 1 milione di euro secondo i parametri del FFP. Da tempo il Chelsea non è più quella della prima fase Abramovich, quando il russo inaugurò l’era degli oligarchi nel mondo del pallone spendendo senza soluzione di continuità. Gli ultimi dieci bilanci dei Blues sono equamente divisi tra esercizi in avanzo e esercizi in disavanzo. Solo due anni fa il Chelsea ha chiuso con un saldo positivo di 38 milioni di euro, prima di far registrare, nell’anno che ha riportato la Champions a Stamford Bridge, una perdita di 174 milioni. Una cifra che ha collocato la società al quinto posto nella classifica delle perdite record annuali alle spalle di Barcellona, Inter, Juventus e Roma. Nonostante la Premier League sia il campionato più ricco del mondo, in Inghilterra questi bagni di sangue economici sono rari, basti pensare che solo il Manchester City nel primo anno di gestione dello sceicco Mansour ha totalizzato un rosso superiore a quello del Chelsea.

La pandemia, nel caso dei Blues, c’entra poco o nulla. Se nel 2019 il fatturato era di 532 milioni, nel 2020 è sceso a 484 per poi risalire a 518 nell’anno appena concluso. Le entrate si sono quindi mantenute stabili, e quanto è stato perso per la chiusura di Stamford Bridge il club l’ha recuperato grazie alle clausole contrattuali con gli sponsor, la Nike in primis, che prevedevano dei bonus in caso di vittoria della Champions. E’ stata l’esplosione dei salari a generare il pesante deficit. La società, che non ha decurtato alcuno stipendio nemmeno nella fase critica dell’emergenza sanitaria, è arrivata a pagare quasi 400 milioni di euro di salari (396 per l’esattezza), contro i 337 della stagione 19/20, attestandosi al secondo posto come monte stipendi della Premier dietro al Manchester City, nonostante si trovi solo al quarto nella graduatoria delle entrate, dietro a Manchester United, City e Liverpool. Una netta volontà di spingere sull’acceleratore, visibile anche da un mercato aggressivo in entrata (Havertz, Werner, Chilwell, Mendy, Ziyech – mentre ovviamente Lukaku verrà conteggiato nel prossimo esercizio) senza però temperare i costi di deprezzamento della rosa (saliti a 193 milioni) con cessioni altrettanto lucrose, come invece accaduto negli anni precedenti (Hazard, Diego Costa, Oscar, David Luiz, Mata, Courtois).

Il Chelsea non avrebbe potuto agire così se nel frattempo l’Uefa non avesse rivisto le regole del FFP o, quanto meno, ne avrebbe pagato le conseguenze, vale a dire l’avvio di una procedura negoziata che si sarebbe conclusa con una sanzione economica o un blocco dei trasferimenti. Già indebolito dalla creatività economica in tema di sponsorizzazioni di squadre quali Paris Saint Germain e Manchester City, il FFP è stato ulteriormente annacquato dalla decisione della Uefa di considerare gli ultimi quattro esercizi di bilancio, anziché gli ultimi tre, per calcolare il limite consentito dal regolamento di 30 milioni di perdite nel triennio, con i bilanci 2019/20 e 2020/21 considerati come un unico esercizio da cui viene calcolata una media. La situazione del Chelsea è quindi passata da 251 a 141 milioni di perdite (il bilancio 17/18 era in attivo di 80 milioni). Da questa cifra vanno sottratti circa 100 milioni per le detrazioni da sempre previste dal FFP per spese di investimento nel settore giovanile, nella sezione di calcio femminile e in progetti di utilità sociale. Rimangono 40 milioni scarsi, che vengono abbattuti da una nuova detrazione consentita dalla Uefa su una percentuale di mancate entrate a causa del Covid-19. Una cifra pari a poco più di 40 milioni che consente al Chelsea di presentarsi di fronte alla Uefa senza nemmeno un euro di debito, anzi, con un piccolo utile. Nonostante un quarto di miliardo di perdite reali. Nel frattempo, l’Uefa ha sanzionato Astana, Cluj, Porto, Betis Siviglia, Sporting Lisbona, CSKA Sofia, Cluj e la squadra di Gibilterra del Mons Calpe per ritardo nei pagamenti del cartellino di giocatori acquistati. Perché le regole, giustamente, sono regole e valgono per tutti. Con la sempre più evidente eccezione di quelli sopra una certa soglia di ricchezza.