Le scuole italiane non sono un luogo sicuro. Non possono esserlo. Come non può esserlo nessun altro posto in tempi di Omicron. Le mascherine, anche le Ffp2, non danno garanzia di protezione al 100%; il distanziamento è spesso difficile; l’areazione, con queste temperature, ancora peggio; i vaccini meglio non parlarne se guardiamo ai contagi, con le cose che migliorano solo se osserviamo i dati sulla prevenzione dalle forme più gravi della malattia.
Se vogliamo tenere la popolazione scolastica al sicuro, proprio al sicuro sicuro, allora è necessario che i ragazzi restino a casa. Ma a casa. Sempre. Perché già stamani, con le scuole in Sicilia chiuse fino a mercoledì 12, tanti ragazzi si sono comunque ritrovati nei centri commerciali, sui campi sportivi, all’aperto nelle piazzette e al chiuso nella cameretta di qualche amico. Con le mascherine indossate un po’ così.
Con il prolungamento delle vacanze natalizie siciliane, che non prevede l’attivazione della Dad, difficile e anche un poco iniquo per i genitori imporre ai figli la clausura. Anche qualora ci fosse la Dad nei prossimi giorni, come richiesto da numerosissimi amministratori, presidi, docenti e da un esercito di mamme, ho ragione di credere che i ragazzi continuerebbero amabilmente a frequentarsi nel resto della giornata.
“Ho ragione” non perché possieda la sfera di cristallo, ma perché è semplicemente ragionevole che i ragazzi continuino a vivere. L’alternativa, ovvero l’attivazione della Dad con un consequenziale – o si vanificherebbe la chiusura scolastica – stop ad ogni occasione di socialità giovanile, vorrebbe dire confinare di fatto i più giovani, e soltanto loro, in una speciale quarantena. Un lockdown under 18 ingiusto e ingiustificabile.
Certo, se milioni di ragazzi vivessero segregati saremmo tutti più al sicuro, ma perché dovrebbero pagare solo loro il peso di questa ennesima ondata? Perché dovrebbe ricadere sulla scuola l’allarme per i contagi schizzati proprio quando le classi erano vuote? Con l’apertura delle scuole le occasioni di diffusione del virus aumenteranno: è inevitabile. Con l’apertura delle scuole alcune classi sarebbero costrette comunque, poco dopo, alla Dad: è altrettanto inevitabile. Ma con le scuole chiuse i ragazzi dovrebbero rinunciare tutti, ancora e di nuovo, al pilastro delle loro giornate, della loro formazione, del loro impegno, dei loro obiettivi, della loro vita.
In questo momento – di paura, qualche settimana fa non saprei – tanti genitori affermano comprensibilmente di essere pronti a rinunciare a ogni attività che non sia essenziale. Bene, adesso però occorre comprendere come per i ragazzi la scuola sia buona parte del loro “essenziale”. È la prima occasione di realizzazione attraverso una forma di lavoro, che da secoli è strutturata affinché sia in presenza e collettiva, occasione di confronto e di stimolo, di imprevisti e di soluzioni. La scuola davanti a uno schermo è più simile a Youtube – senza tutte le accortezze tecniche e semantiche di chi sa usare davvero Youtube – che a una classe.
L’indirizzo che il Governo ha intrapreso è chiaro e a mio avviso corretto: in questo momento terribile l’Italia è un Paese fondato sulla necessità di continuare a lavorare. Lo è per ragioni economiche ma anche sociali, di sviluppo collettivo e della persona. Vale per gli adulti, vale per i ristoratori, vale per le compagnie teatrali, vale per chi svolge attività fisica, vale per gli esercizi commerciali e vale, perfino, per i più giovani. Ho visto ragazzi con crisi nervose spaventose lo scorso inverno, ho visto bambini con la paura di giocare all’aperto la scorsa primavera.
Togliete a un ragazzo i suoi compagni, il timore dell’interrogazione alla lavagna, la ricreazione e, al pomeriggio per coerente conseguenza, il gioco, ritrovarsi con gli amici, pettinarsi bene perché c’è quella ragazza lì, la musica, lo sport. Toglietegli tutto questo e immaginate come debba sentirsi, anche se per un paio di settimane. Toglietegli tutto questo e ricordatevi che già gli è stato tolto, per mesi. Toglietegli tutto questo pur sapendo, in cuor vostro, che durante le Feste non c’è stata generazione che abbia saputo o voluto rinunciare a nulla.
Piuttosto, allora, preoccupiamoci seriamente di mascherine Ffp2, di distanziamento, di areazione, di vaccini, di tutte quelle accortezze che singolarmente non danno garanzia di sicurezza certa ma che messe insieme contribuiscono ad aumentare sensibilmente il livello di protezione. E sono, guarda caso, tutte cose di cui si sono occupati, o avrebbero dovuto farlo, non i ragazzi ma gli amministratori, i presidi, i docenti, le mamme.
Solo una cortesia, in coda ma urgente: nessuno pensi mai di discriminare, per legge o con qualche stramba regola, un bambino vaccinato da uno non vaccinato. Per legge, semmai, allora si imponga l’obbligo vaccinale.