La quadriglia era un ballo molto in voga, tanti anni fa. Ogni tanto, il Mastro urlava: “changer de dame”. Era l’ordine ai cavalieri di scambiare la propria compagna, facendo un passo in avanti. Invero, scambiare il cavaliere, facendo un passo indietro, sarebbe una soluzione coerente da parte della politica italiana che, con un atteggiamento da bari caravaggeschi, sta affrontando l’elezione presidenziale in un clima di guerriglia verbale.

Con apprezzabile sensibilità democratica, non comune in questi tempi, il presidente Mattarella ha declinato la propria disponibilità a un secondo mandato. Condotta istituzionale e prestigio della presidenza sono stati apprezzati da tutti, in Italia e in Europa. E la popolarità di questa presidenza è seconda solo a quella che conquistò Sandro Pertini da Stella San Giovanni, un partigiano come presidente. Secondo la grande maggioranza del Parlamento che ne sostiene il governo, il Primo ministro Mario Draghi rappresenta una delle eccellenze di questo paese, che spesso si è affidato alla regola della mediocrità nell’amministrare la cosa comune. Draghi, una eccezione a questa triste regola, è una garanzia per l’Europa e per i mercati mondiali; un ruolo che, da presidente della Repubblica, continuerebbe senza dubbio a esercitare. E ha l’età giusta per un mandato pieno.

Mattarella rifiuta la proroga che suonerebbe come una sconfitta, forse irrimediabile, della democrazia rappresentativa nel nostro paese. Potrebbe declinare anche l’invito a guidare il Consiglio dei Ministri di questo governo fino al termine della legislatura? Ne ha sicuramente le capacità, per via della lunga esperienza politica e amministrativa. E, con l’esperienza presidenziale, ha forgiato ulteriormente il proprio rigore istituzionale, acquisito prestigio internazionale, sviluppato solide capacità di resistere alle pressioni faziose.

Non ho mai avuto particolare interesse per la politica, a parte l’impegno per i due referendum sul nucleare. E mi sto attrezzando per il terzo. Per solidarietà verso alcuni amici blogger ospitati anche su questa testata, ho firmato una petizione in appoggio alla candidatura di Rosy Bindi. Sono sicuro che una donna con le sue caratteristiche offrirebbe un meraviglioso segnale di maturità democratica. Ma temo che si tratti di pura utopia, giacché l’Italia perse già due volte l’occasione di una donna come presidente, addirittura una partigiana.

Se Tina Anselmi fosse salita al Quirinale nel 1992, quando fu proposta dal settimanale satirico Cuore e sostenuta in Parlamento da un piccolo gruppo politico ormai scomparso, La Rete, il declino del paese avrebbe forse tracciato una traiettoria meno deprimente, almeno sotto il profilo culturale e morale. E sono tuttora attuali le dieci ragioni per cui Tina Anselmi fu nuovamente proposta nel 2006 senza successo: l’Italia le preferì allora un ex-comunista, mai protagonista delle cronache partigiane.

Nessuno ha finora chiesto a Mattarella la disponibilità a servire ancora una volta lo Stato, con l’obiettivo di terminare onorevolmente la legislatura e accompagnare in modo onesto e coerente il percorso del Pnrr. Se l’accoppiata Draghi-Mattarella è insostituibile per larga parte della politica italiana, il toccasana per poter terminare in gloria questa legislatura, perché invertendo le parti la soluzione non sarebbe gradita? Perché no crossover? Lo chiedo per un amico, Emmanuel Macron.

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