Con la pandemia molti sono rimasti con il cerino in mano causa cig parametrate agli stipendi “in chiaro” (inferiori a quelli reali) o assenza totale di ammortizzatori sociali per chi invece era stato costretto a lavorare a chiamata o con contratti di stage. C'è chi ha cambiato settore e chi continua a cercare opportunità ma pur avendo molti anni di esperienza si scontra con offerte di stage o retribuzioni bassissime a fronte di 14-15 ore di impegno giornaliero
“Sono stato cameriere in un albergo di Sestriere per molti anni, adesso faccio il magazziniere”. Come Lorenzo, sono moltissimi i lavoratori del settore turistico impiegati nelle stagioni invernali che, per effetto della pandemia, hanno deciso di lasciare il settore e cambiare vita. “Come me, molti colleghi hanno abbandonato il settore in questi due anni. Ho 30 anni e lavorando come stagionale non avrei mai potuto crearmi un futuro stabile. Fortunatamente non ho mai lavorato in nero, ma lavoravo ben oltre le 12 ore al giorno per 6 giorni a settimana per 1100 euro al mese, con la scusa che avevo vitto e alloggio gratis. Sette mesi all’anno così, spesso saltando i riposi per coprire le carenze e assenze altrui, il resto in Naspi fino all’arrivo della nuova stagione. Io la chiamo sopravvivenza questa, non vita”. Tra stipendi al limite dello sfruttamento da sempre, mesi di cassa integrazione a importi esigui – nei casi fortunati, quelli in regola – e sostegni economici al momento non previsti dal governo, la situazione per migliaia di lavoratori di alberghi e ristoranti delle più famose località turistiche invernali è drammatica. Anche se la pandemia ha indotto molti a puntare su altri settori, dopo aver subito per anni condizioni al limite dello sfruttamento ed essere rimasti con il cerino in mano per mesi causa cig parametrate agli stipendi “in chiaro” (spesso inferiori a quelli reali) o assenza di ammortizzatori sociali per chi invece era stato costretto a lavorare a chiamata o con contratti di stage.
Da settimane, con l’arrivo della variante Omicron e l’impennata della curva dei contagi, gli albergatori chiedono ristori lamentando l’impatto di isolamenti e quarantene – oltre che delle restrizioni del governo – sulla stagione invernale: prenotazioni ai minimi storici, disdette e crollo del turismo straniero che generalmente la fa da padrone nelle località montane e nelle città d’arte nel periodo natalizio e nei successivi mesi. Ma sui portali dedicati alla ricerca di lavoratori stagionali le offerte di lavoro pullulano, per tutti i ruoli. Quasi tutte ricerche urgenti, con la pretesa di trovare personale con esperienza in tempi record. Commis di sala, chef de rang, cuochi, lavapiatti, cameriere ai piani, receptionist e governanti per alberghi: sono centinaia e centinaia le richieste di albergatori e ristoratori pubblicate sul web e sui gruppi Facebook dedicati ai lavoratori del settore montano e alberghiero. I racconti di chi ha lavorato nel comparto aiutano a capire perché trovare personale sia difficile.
“Già prima della pandemia la situazione era disastrosa. In stagione si lavora anche 14/15 ore al giorno, ovviamente non dichiarate, per stipendi che si aggiravano sui 1.200 euro al mese, se fortunati – spiega Giuseppe a ilfattoquotidiano.it – Io, dopo che sono stato mandato a casa a marzo 2020, sono sopravvissuto per qualche tempo grazie ai “bonus” del Governo Conte, poi ho deciso di cambiare lavoro. Anzi, sono stato costretto. Dopo dieci anni di stagioni nelle Dolomiti, ora faccio l’operaio in una ditta di Pordenone. Lavoro duro, ma almeno ho un contratto in regola, uno stipendio parametrato alle ore di lavoro e se faccio degli straordinari vengo retribuito di più. Mi viene pagato tutto. Quando lavoravo come commis, tutto era dovuto. Gli straordinari erano sempre pretesi e mai retribuiti, né in regola né in nero. Come si fa a vivere tutta la vita così?”.
In molti riponevano speranza nella stagione 2021/2022, ma la ripresa dei contagi ha presto spento gli entusiasmi. Nonostante la situazione sia andata peggiorando solamente all’inizio di dicembre, già a metà ottobre albergatori e ristoratori mettevano le mani avanti sostenendo che gli stipendi quest’anno sarebbero stati inferiori perché la crisi li aveva colpiti duramente e quindi anche i lavoratori avrebbero dovuto fare la propria parte per salvare il posto di lavoro. Insomma, una sorta di condivisione del rischio di impresa che altro non è che una scusa per offrire stipendi bassissimi senza nessun tipo di garanzia nel momento in cui la situazione dovesse peggiorare ulteriormente e spingere a ulteriori restrizioni o, peggio, chiusure.
“Si lamentano tanto della crisi per colpa del Covid, peccato che a subire la crisi siamo sempre noi lavoratori. Ho iniziato a cercare offerte per fare la stagione invernale in Valtellina a metà ottobre. Di annunci ce ne sono a decine, cercano con urgenza un sacco di figure ovunque – racconta Alessia a ilfattoquotidiano.it – “Ma cosa offrono? Perché questo è il punto vero. Offrono sempre contratti part-time da 30/35 ore, dove però vieni costretto a lavorare molte più ore rispetto a un full time. Parliamo di 70/80 ore a settimana. E per quanto? 800 euro? Sono arrivati a offrirmi uno stage perché sono disoccupata da un anno, ma io ho 15 anni di esperienza come cameriera di sala, parlo tre lingue, ho studiato, ho fatto un sacco di corsi di aggiornamento per migliorarmi. Come possono anche solo pensare di offrire uno stage a una professionista?”. Anche lei sta pensando che sia giunto il momento di cambiare prospettiva di vita, puntando ad andare all’estero: “Mi è sempre piaciuto lavorare in questo settore, quello che mi ha sempre fatto schifo è lo sfruttamento che c’è dietro. Finché hai 25 anni puoi anche reggere e fartelo andare bene. Ma quando arrivi a 35 e magari vuoi crearti una famiglia, non sei più disposto ad accettarlo. Sto pensando di andare all’estero quando finalmente si tornerà alla normalità. Qui in Italia non vedo un futuro, né nel turismo né in nessun altro settore”.
E se c’è chi è riuscito a ricollocarsi in altri ambiti, c’è chi, invece, complice l’età più avanzata, arranca da ormai due anni senza poter nemmeno contare sull’aiuto del sussidio di disoccupazione, la Naspi, che eroga una cifra molto bassa essendo parametrata sui mesi effettivamente lavorati. E molti lavoratori invernali negli ultimi due anni hanno potuto lavorare solo poche settimane causa lockdown, restrizioni e chiusure. Claudio ha 43 anni e lavora nel turismo da più di vent’anni come receptionist. “Io voglio lavorare, non vivere di disoccupazione. Ma non voglio nemmeno più essere sfruttato e farmi andare bene condizioni indecenti pur di lavorare – racconta a ilfattoquotidiano.it – Più andiamo avanti e più gli stipendi proposti si abbassano, usano come paravento la crisi dovuta alla pandemia. E’ disumano. Anche con la Naspi, non è che si sopravviva così bene. Io prendo 730 euro al mese e sai quanto mi hanno bonificato a dicembre? 325 euro causa conguaglio Irpef. Come pago affitto e bollette così? Sono rovinato”.
Anche Cristiano sta vivendo una situazione simile ed è deluso dall’esecutivo che sta prendendo tempo sulla questione bonus e ristori per questi lavoratori che più di tutti stanno subendo gli effetti della crisi economica: “Molti di noi stagionali avendo lavorato quest’anno solo un paio di mesi, hanno già terminato la Naspi e da parte del governo non c’è nessuna risposta. Come al solito, siamo una categoria dimenticata. Intanto, cosa faremo in attesa della prossima stagione?”.