Di fronte all'idea di Bassetti, sposata dal membro del Cts Greco e da pezzi del mondo politico-istituzionale, in molti si dicono contrari. La presidente degli epidemiologi: "Conoscere i contagi serve a disegnare previsioni e costruire orizzonti". Il virologo Gaensbacher: Tacendo i numeri, i cittadini abbasseranno la guardia e il virus potrà diffondersi". Sebastiani (Cnr): ""Obiettivo condivisibile, la forma non è affatto la migliore". Ma il numero uno dei virologi: "Dando i numeri si rischia di terrorizzare la popolazione"
Il mondo scientifico si spacca sulla necessità di continuare a pubblicare quotidianamente il numero di nuovi casi giornalieri. Di fronte all’idea caldeggiata da Matteo Bassetti, sposata dal membro del Cts Donato Greco e da pezzi del mondo politico e istituzionale, prendono posizione epidemiologi e virologi. In molti dicono no alla proposta del primario del San Martino di Genova, che l’ha rilanciata ora dopo averla già espressa nel settembre 2020, prima che scoppiasse la seconda ondata che travolse ospedali e riporto il Paese in zona rossa nell’autunno di due anni fa. La posizione più netta è quella di Lucia Bisceglia, presidente dell’Associazione italiana di epidemiologia: “È come rompere il termometro quando abbiamo la febbre. Il monitoraggio dei contagi giornaliero è una guida”, ha spiegato al Corriere della sera. Grazie al bollettino, argomenta, ovvero avendo informazioni “costanti e tempestive” si riescono ad “intercettare sul nascere i segnali di allerta” e quindi a “disegnare previsioni e costruire orizzonti”. Ricoverati e decessi, infatti, “sono proporzionati ai positivi”, aggiunge Bisceglia.
In una fase di espansione del contagio, dice ancora la presidente dell’Aie, è “fondamentale mantenere la sorveglianza di tutti gli elementi che possono aiutare a governare la pandemia”. Solo in una situazione endemica, conclude Bisceglia, si potrà passare a un sistema come quello del monitoraggio dell’epidemia influenzale, “basato sulla rilevazione dei casi di malattia raccolti dall’Istituto superiore di sanità” e nel quale “si tiene conto dei sintomi e parallelamente va avanti la sorveglianza sulla circolazione dei virus”. Una posizione che trova d’accordo il virologo Fabrizio Pregliasco, docente della Statale di Milano, secondo il quale oggi si è in una fase “ancora espansiva” dell’epidemia: “Eliminare il bollettino quotidiano sarebbe un segnale di liberi tutti mentre la comunicazione quotidiana ha l’effetto di ricordare la situazione in cui siamo”.
“Siamo in una fase di passaggio quindi cambierei una volta superato il picco, con una comunicazione fatta magari in maniera meno grossolana se possibile”. Ovvero come dice Bassetti senza più annoverare tra i pazienti Covid chi va in ospedale perché si rompe una gamba e risulta positivo al tampone? “Sì, ma senza perdere di vista il problema della contagiosità – avverte il virologo – sennò si ritorna alle abitudini del passato”. Non è quindi il momento di cambiare il sistema di comunicazione ma piuttosto quello di “pianificare una modalità per il futuro”. Per Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali, l’utilità del bollettino è da ricercare proprio nell’impatto emotivo sulle persone: un modo, sostiene, “per dire loro di fare più attenzione”. Anche perché, chiarisce sottolineando che il dibattito “non mi appassionato, chi si occupa di epidemiologia “è abituato a ragionare sui trend settimanali”.
Contrari all’abolizione anche il virologo altoatesino Bernd Gaensbacher e il biostatistico Markus Falk. Secondo il primo, i dati Covid “vanno pubblicati tutti i giorni, altrimenti agiamo a favore del virus”. La circolazione del virus – sottolinea – va “limitata il più possibile, perché una diffusione così massiccia gli offre la possibilità di mutarsi”. Non solo: “Predicendo l’andamento della pandemia influenziamo il comportamento dei cittadini. Se improvvisamente tacciamo i numeri, i cittadini abbasseranno la guardia e il virus potrà diffondersi. Se invece continuiamo a documentare come la curva sta salendo in modo esponenziale, gli italiani saranno più prudenti”, conclude. Falk, ricercatore dell’Eurac di Bolzano, spiega invece che i “dati vanno pubblicati, finché possiamo garantire la loro correttezza”. Semmai, aggiunge, “vanno anche spiegati”. Perché, sottolinea, “3.000 casi al giorno, come avvenuto ieri in Alto Adige, con Omicron hanno un altro significato rispetto allo stesso numero di contagi con Delta, ma comunque non vanno sottovalutati”.
Si schiera a favore dell’abolizione della comunicazione quotidiana, invece, Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia: “Continuare a conteggiare ogni giorno le persone positive a Covid non è giusto e rischia di confondere, di terrorizzare e di condizionare la popolazione oltre a quanto questa malattia ha già fatto”. Il bollettino va cambiato, sostiene, “focalizzando l’attenzione sui ricoveri. Indicando cioè solo quelli ‘per Covid’ e non quelli ‘con Covid’“, e “cercando di capire chi sono i pazienti che finiscono in ospedale” nonostante l’aumento della popolazione vaccinata e la crescente prevalenza di Omicron”.
“Mentre l’obiettivo è assolutamente condivisibile, ritengo che la forma per la sua realizzazione non sia affatto quella migliore. Penso infatti che fornire informazione chiara e puntuale sia in generale vincente – dice a Ilfattoquotidiano.it Giovanni Sebastiani, matematico dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo Mauro Picone del Consiglio nazionale per le ricerche (Cnr) – Sono invece d’accordo con chi ha fatto la proposta, che sarebbe molto utile fornire dati più informativi, riguardanti ad esempio non solo la positività, ma anche la presenza o meno di sintomi, la loro gravità, il motivo per cui è fatto il test (es. routine, controllo). Prendo lo spunto da questo per esortare le istituzioni a mettere a disposizione della comunità scientifica dati in forma più disaggregata. A questo riguardo è utile sottolineare che lo stesso appello è stato fatto da uno degli attuali più prestigiosi rappresentanti italiani delle scienze “dure”, andando purtroppo disatteso”. Allo scopo di perseguire l’obiettivo che ha motivato la proposta, cioè non generare confusione tra le persone, aggiunge Sebastiani, “esorto i rappresentanti della classe medica a non continuare più a fare previsioni non basate su modelli quantitativi e calcoli matematici, e che puntualmente di rivelano sbagliate”. Come ad esempio, ricorda, “quella che l’epidemia si sarebbe estinta dopo l’estate del 2020 o che a Natale avremmo avuto 30.000 casi al giorno. È accettabile che una previsione si riveli sbagliata, purché sia ottenuta a partire dai dati e utilizzando un metodo quantitativo”.
Secondo Caruso, in una popolazione con alte percentuali di vaccinati e in un contesto in cui “la pandemia da nuovo coronavirus assume sempre più le caratteristiche di un’endemia simile all’influenza”, dovremmo “cominciare a pensare di non comunicare più il numero dei positivi, ma esclusivamente il dato dei ricoveri realmente dipendenti da Covid-19″. L’importante adesso è ‘prendere il polso’ ai ricoveri, insiste Caruso: “Soprattutto – precisa – da ora in poi sarebbe fondamentale stabilire quali e quanti, rispetto al passato, sono gli ingressi in ospedale che rischiano effettivamente di affollare in maniera significativa i reparti, così da capire bene se la tendenza resterà a crescere o sarà invece a diminuire, come ci aspettiamo tutti e come sta succedendo anche in Inghilterra”.