I presidenti delle Regioni sembravano aver fatto un passo avanti, chiedendo di rivedere i criteri e le competenze sulla sospensione delle attività didattiche in presenza. Ma il governatore pugliese Emiliano nega: in Conferenza delle Regioni, dice, "sono stati affrontati diversi temi legati all’esigenza di rendere più efficace la collaborazione" con il governo, ma "non è stata tratta alcuna conclusione"
Le Regioni smentiscono di voler chiedere maggiori poteri per spedire in didattica a distanza gli studenti, superando le attuali regole che permettono ai governatori di disporre la chiusura delle scuole solo in zona rossa. “La Conferenza delle Regioni non ha preso alcuna decisione, né approvato alcun documento sulla ripresa dell’attività didattica nelle scuole o sui criteri delle ordinanze”, fa sapere il vicepresidente dell’organo Michele Emiliano. “Nell’ambito di una discussione generale”, precisa il presidente della Regione Puglia, “sono stati affrontati diversi temi legati all’esigenza di rendere più efficace la collaborazione fra il governo e le Regioni, e ciascuno ha potuto liberamente esprimere il proprio pensiero rispetto a diversi aspetti che caratterizzano tale rapporto. Ma non è stata tratta alcuna conclusione dal dibattito rispetto al quale abbiamo invece deciso un approfondimento ulteriore in una prossima riunione della Conferenza delle Regioni”.
A pochi giorni dal momento in cui Mario Draghi ha ribadito che la presenza degli studenti in classe è una priorità per l’esecutivo, i presidenti delle Regioni sembravano aver fatto un passo avanti chiedendo di rivedere i criteri e le competenze sulla sospensione delle attività didattiche in presenza nelle scuole. A quanto aveva riferito l’Ansa, era stato preparato un documento – con l’appoggio di gran parte dei governatori – in cui si sarebbe chiesto al governo di non limitare esclusivamente alle zone rosse la possibilità di emanare ordinanze regionali sulla sospensione delle lezioni in presenza. A caldeggiare l’iniziativa – secondo quanto trapelato – era stata soprattutto la Regione Campania, che per prima aveva manifestato la necessità di non far rientrare in classe gli studenti dopo le vacanze di Natale sospendendo le lezioni – con un’ordinanza del presidente Vincenzo De Luca – fino al 29 gennaio dalle scuole dell’infanzia fino alle secondarie di primo grado. La decisione era stata impugnata dal governo e il Tribunale amministrativo regionale ha dato ragione all’esecutivo, ordinando la sospensione dell’ordinanza e quindi la riapertura dei plessi.
“Le rappresentate difficoltà del sistema sanitario regionale, lungi dal giustificare l’adozione della misura sospensiva (della didattica in presenza, ndr), dimostrano piuttosto la carente previsione di adeguate misure preordinate a scongiurare il rischio, ampiamente prevedibile, di ‘collasso’ anche sul sistema dei trasporti”, avevano scritto i giudici accogliendo la richiesta di sospensiva di alcuni genitori e dell’esecutivo. Già nei giorni precedenti al rientro del 10 gennaio diversi presidenti avevano manifestato perplessità riguardo al rientro integrale nelle classi. “Con queste condizioni non siamo in grado di reggere”, aveva detto il presidente del Veneto Luca Zaia.
Nonostante il pressing, lunedì la stragrande maggioranza degli studenti italiani ha fatto rientro in classe. Senza al momento che sia stato imposto l’uso delle mascherine Ffp2, maggiormente protettive, che il governo pretende invece per le conferenze stampa a Palazzo Chigi. L’ultimo decreto Covid, varato il 5 gennaio, non ne ha infatti previsto l’obbligatorietà. Quindi se qualcuno decidesse di usarle, dovrebbe sobbarcarsi il costo: “Devono provvedere le famiglie. Non è previsto dal decreto che debbano essere fornite dalle scuole”, ha detto il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli, che sul rischio che non siano cambiate quotidianamente come denunciato dagli studenti risponde: “Il non-cambio può essere motivo di preoccupazione. L’obbligo è di cambiarle ogni giorno. Se il non-cambio sarà un fenomeno diffuso, il ministero ne dovrà prendere atto”. “È difficile applicare queste norme del governo, è quello che ho detto anche al ministro. I casi ci sono, è inutile nasconderli, l’obiettivo del governo è di non ricorrere alla dad generalizzata. Le nuove regole le conosciamo, il problema è che è difficile applicarle”, ha detto parlando a Radio Cusano Campus il presidente di DirigentiScuola Attilio Fratta.
“Ad esempio – ha spiegato – mi ha chiamato un dirigente stamattina dicendo: ho 40 classi, come faccio a controllare uno per uno? Quando stanno tutti in classe, se c’è un contagio, che faccio mando tutti a casa? Così come hanno fatto per i docenti, ci vuole una piattaforma in modo che il dirigente veda qual è la situazione degli studenti della sua scuola e la mattina va in ufficio e già sa che deve fare. Invece così, lo sa a metà mattinata se c’è un positivo e poi cosa fa li manda a casa a metà mattinata? Il software c’è, solo che non riusciamo a risolvere il problema della privacy perché trattandosi di minori c’è il problema”. Insomma, ha concluso Fratta: “Siamo in pieno caos, il problema è che si ammalano anche i docenti, alcuni dirigenti stanno facendo addirittura le chiamate dirette”.