di Emilio Gianicolo*
In uno Stato di diritto vi è la necessità che provvedimenti di carattere politico-amministrativo abbiano anche una base scientifica e non siano impostati su elementi arbitrari. Un diritto fondamentale per la Costituzione Italiana è il diritto alla salute. Uno dei casi più eclatanti al livello nazionale in cui tale principio è stato disatteso è l’acciaieria – ex Italsider, ex Ilva, ex ArcelorMittal ed ora Acciaierie d’Italia – più grande d’Europa. Per Taranto pare sempre mancare un tassello che renda completo il quadro delle evidenze scientifiche.
Infatti, non sono stati sufficienti risultati allarmanti di studi raffinatissimi per convincere i governi e le amministrazioni regionali e locali della necessità di imprimere una svolta decisiva alla storia della città Ionica, dandole finalmente una prospettiva libera dalle nocività della fabbrica.
Era noto da anni che la popolazione tarantina nel complesso presentasse uno stato di salute peggiore, in termini di mortalità e morbidità, rispetto al resto della regione Puglia. Fu però solo nel 2012 che, grazie all’iniziativa della locale Procura della Repubblica, si realizzò – per opera di studiosi riconosciuti a livello internazionale – una indagine epidemiologica di una raffinatezza e persuasività scientifica tale da poter dimostrare quanto era per molti scontato ma purtroppo non ancora dimostrato scientificamente: uno dei determinanti – se non il determinante principale del peggiore stato di salute della popolazione tarantina – era rappresentato dalle emissioni convogliate e diffuse dell’acciaieria.
La Procura della Repubblica di Taranto, grazie anche al lavoro di pungolo dei movimenti aveva supplito al ruolo che avrebbero dovuto esercitare le istituzioni. A distanza di qualche anno, tuttavia, la stessa Regione Puglia affidò ad una parte dell’equipe che aveva lavorato per la magistratura nell’ambito del processo “Ambiente svenduto”, la conduzione di uno studio, che aggiornava ad anni più recenti il lavoro condotto per la Procura. I risultati principali dello studio confermarono l’effetto nocivo sulla salute delle emissioni dell’acciaieria.
A questi studi ne sono seguiti altri, tra i quali una valutazione di danno sanitario pubblicata nel maggio del 2021 dalle Agenzie Regionali pugliesi Arpa ed Aress insieme con la Asl di Taranto. In tale valutazione, gli autori avevano evidenziato che anche con una produzione inferiore di acciaio – pari cioè a sei milioni di tonnellate – vi era un rischio inaccettabile per la comunità tarantina residente al quartiere Tamburi. La comunità storicamente più danneggiata.
Proprio in questi giorni vi è la notizia che i consulenti di Acciaierie d’Italia hanno trasmesso una relazione al Ministero della Transizione Ecologica nella quale mettono in risalto i limiti della valutazione di danno sanitario. È legittimo che un imprenditore si affidi a professionisti che possano trovare argomenti per sostenere una posizione congeniale ai suoi interessi. Vi sono, tuttavia, nel merito alcuni commenti riportati dagli autori della relazione che non sono supportati adeguatamente da evidenze scientifiche. Cito un argomento per tutti (pagina 12 della relazione). Gli autori affermano testualmente “la valutazione epidemiologica per PM10 e PM2.5 è stata effettuata con funzioni concentrazioni-risposta ricavate dalla letteratura a facendo riferimento allo studio condotto da Chen e Hoek […]; il riferimento a queste informazioni non appare calzante al caso in esame, poiché tali funzioni sono state elaborate per contesti urbani e non contemplano contesti industriali. Oltremodo non è chiaro perché la scelta sia ricaduta sullo studio di Chen e Hoek anziché sui risultati dello studio sulla coorte di Taranto (2016)”.
Vi sono in questa affermazione due aspetti che meritano un approfondimento. Il primo riguarda la critica alla scelta di un articolo scientifico pubblicato su una rivista internazionale. In questo lavoro gli autori hanno passato in rassegna centinaia di studi che corrispondono all’osservazione di effetti sanitari dell’inquinamento subito da milioni di persone in tutto il globo. Non si capisce perché una relazione, assimilabile oramai ad una legge di natura, cioè la relazione tra esposizione ad inquinamento e mortalità, possa valere in tutto il mondo ma non a Taranto.
Il secondo aspetto riguarda la critica all’uso di un parametro che, secondo i consulenti, è più adatto a contesti urbani che non a contesti industriali. In questo caso, giacché è noto dalla letteratura che le emissioni industriali causate dalla combustione di fossili – ed è questo il caso delle emissioni dell’acciaieria tarantina – causano effetti sanitari peggiori, se errore vi è stato nella valutazione di danno sanitario, questo è di sottostimare il danno sanitario prodotto dall’acciaieria.
Vi è in conclusione un ulteriore studio che la Regione Puglia, nel giugno del 2019, investendo risorse pubbliche consistenti, ha affidato alla Organizzazione Mondiale della Sanità e presentato come strumento scientifico fondamentale per le decisioni sulle sorti dell’acciaieria tarantina. Tale studio si sarebbe dovuto completare entro l’estate del 2020. È necessario in questo frangente storico conoscerne i risultati.
*epidemiologo presso l’Università Johann Gutenberg Mainz (Magonza, Germania)