Ancora una battuta d’arresto e costi lievitati per il reattore nucleare Epr (European Pressurized Reactor) in costruzione in Francia, a Flamanville, dove nel 2007 è stato avviato il secondo cantiere dell’Unione europea per questo tipo di impianto, sviluppato nella linea evolutiva della tecnologia ad acqua pressurizzata (Pwr, Pressurized water reactor) e definito di “terza generazione plus”. Il primo reattore Epr entrato in funzione in Europa, invece, è Olkiluoto 3, in Finlandia. Ci sono voluti più di 16 anni e un costo che già nel 2017 si calcolava toccasse gli 8,5 miliardi di euro. Non sta andando meglio al reattore francese. Il colosso EdF (Électricité de France) ha appena annunciato che Flamanville 3 costerà 300 milioni di euro in più del previsto, mentre il carico di carburante, precedentemente programmato per la fine del 2022, è stato posticipato al secondo trimestre del 2023. Tutto questo mentre la Francia continua a fare pressione perché la Commissione Ue includa il nucleare nella Tassonomia Verde. L’adozione dell’atto delegato è stata, anche quella, posticipata al 21 gennaio “per dare più tempo a Stati membri ed esperti di analizzare il testo”, ha detto il portavoce della Commissione Ue Eric Mamer. E proprio in queste ore, la Francia continua ad essere citata come esempio dal leader della Lega, Matteo Salvini, secondo cui sarebbe “il Paese più green grazie ai reattori nucleari”, mentre alla Germania spetterebbe la maglia nera.
L’ennesimo ritardo, con annesso aumento dei costi
Électricité de France stima che il costo totale del progetto salirà a 12,7 miliardi di euro, costo già più che quadruplicato rispetto alla prima stima effettuata nel 2004 ma che, tenendo conto anche dei costi finanziari, come valutati dalla Corte Des Compts nel 2020, arriverebbe a circa 19 miliardi. “Edf ha adeguato il calendario del progetto Flamanville 3, tenendo conto dello stato di avanzamento delle operazioni e della preparazione per l’avvio in un contesto industriale reso più difficile dalla pandemia”, ha annunciato la società. Il ritardo è dovuto principalmente alle saldature difettose “che verranno riparate entro la fine di agosto anziché entro la fine di aprile, come previsto in precedenza”, ha spiegato il direttore esecutivo dei progetti per il nuovo nucleare di Edf, Xavier Ursat. Il momento, per i sostenitori del nucleare, non è certo dei migliori. E non lo è per Macron che, anche in vista delle elezioni di primavera, punta alla costruzione di nuovi reattori per ridurre la dipendenza dalle forniture energetiche straniere.
Il nodo del reattore nucleare europeo
Ma non è certo un fulmine a ciel sereno. Nel 2019 il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, ha definito l’Epr di Flamanville “un fallimento per tutta la filiera elettronucleare francese”. Come avvenuto in Finlandia, ma con ritardi più contenuti, sono entrati in funzione altri due Epr, a Taishan, in Cina. E uno dei reattori cinesi, gestito da Edf assieme al gruppo cinese China General Nuclear Power Corporation (Cgn), è ora fermo da luglio scorso, in seguito a un incidente sulle cui cause ci sono tuttora diverse versioni. Di fatto si sarebbe registrato un aumento della concentrazione di alcuni gas rari radioattivi, xeno e kripton, nel circuito primario del reattore.
Tegola per Électricité de France
Dopo l’ultimo annuncio che riguarda Flamanville, il titolo Edf alla Borsa di Parigi ha ceduto l’1%, con l’indice Cac 40 in rialzo dello 0,7%. Il gruppo era già precipitato in borsa (- 15,8%) dopo che, a dicembre, quattro reattori nucleari, due a Civaux e due a Chooz, al confine con il Belgio, sono stati chiusi a causa di un difetto rilevato in una tubatura. Negli stessi giorni, si è verificato anche un incidente all’impianto di Tricastin, uno dei più ‘datati’ del Paese, dove c’è stata una contaminazione da trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno, nelle acque sotterranee dell’unità di produzione di energia elettrica.