Si è pentito della frase gridata a Schettino? E qualcuno dei 32 morti poteva salvarsi? Sono tra le domande a cui risponde l'ex comandante della sala operativa della Capitaneria di Livorno a dieci anni dal disastro dell'isola del Giglio
Qualcuno tra le 32 vittime si poteva salvare? Si è pentito di quella frase diretta al capitano Francesco Schettino e diventata famosa in tutto il mondo? C’è il rischio che perfino in questa storia in cui sono emerse da subito le responsabilità principali ci sia la tentazione di perdonare? Sono alcune tra le domande a cui risponde Gregorio De Falco nell’intervista video che ilfattoquotidiano.it metterà online (sui propri canali social e nel box tv in homepage) dalle 10 del 13 gennaio, a dieci anni dal disastro della Costa Concordia. De Falco, capitano di fregata che all’epoca dei fatti comandava la sala operativa della Capitaneria di Livorno, è ora senatore iscritto al gruppo misto.
Una storia ormai chiusa: Schettino sta scontando la sua pena a 16 anni di reclusione, la nave non solo è stata rimossa (nel 2014) ma non esiste proprio più, i fondali del Giglio stanno recuperando oltre ogni più rosea previsione. Eppure quella vicenda è rimasta stampata nell’immaginario collettivo, ha creato si potrebbe dire una sua iconografia: la nave gigantesca appoggiata sul terrazzamento sott’acqua vicino agli scogli, il comandante che scappa, un’isola di mille abitanti che si ritrova a soccorrere una nave che contiene un numero di persone che è 4 volte tanto. Ma vale la pena ricordare quella storia, una volta di più, per due motivi.
Il primo: ribadire come e perché avvenne quella tragedia. La manovra scellerata decisa dal comandante ed eseguita ad alta velocità, lo schianto sugli scogli delle Scole, il mancato allarme, le bugie e le mezze verità dette alla Guardia Costiera, un abbandono nave praticamente estorto dai soccorritori, la fuga prima di centinaia di passeggeri gettati nel panico, le menzogne su una presunta manovra salvifica. E alla fine di tutto, dieci anni dopo, nemmeno un banale tutto, infine, dieci anni dopo, le mancate scuse, come ha sottolineato l’ex procuratore di Grosseto Francesco Verusio
Il secondo: ricordare che in quell’incidente, incredibile nel senso letterale del termine, morirono 32 persone. Metà di loro aveva oltre sessant’anni. Festeggiavano compleanni, nozze d’oro, pensionamenti dopo una vita di sacrifici. Il più anziano si chiamava Giovanni Masia, aveva 86 ed era uscito dalla Sardegna per la prima volta nella sua vita dopo il viaggio di nozze. La più piccola a perdere la vita fu Dayana Arlotti: aveva 6 anni.
A morire furono anche lavoratori a bordo della Concordia: il batterista Giuseppe Girolamo e il violinista Sandor Feher, la barista Erika Fani Soria Molina, il cameriere Russel Rebello. Molti di loro, secondo molti testimoni, si sono attardati per aiutare i passeggeri nel panico, mentre a bordo l’organizzazione era assente perché nessuno coordinava l’evacuazione. Feher, per esempio, ha aiutato alcuni bambini a indossare i salvagente, mentre Girolamo – è storia nota – cedette il proprio posto sulla scialuppa di salvataggio a beneficio di una bambina, consapevole di non saper nuotare.