Una corona di fiori è stata deposta nel tratto di mare in cui la nave da crociera, la sera del 13 gennaio 2012, finì la sua corsa dopo lo schianto sugli scogli causato dalla manovra voluta dal capitano della nave. Il racconto dei familiari di chi ha perso la vita, dei superstiti e dei soccorritori
Una corona di fiori deposta in mare, davanti agli scogli della punta Gabbianara, all’isola del Giglio. E’ lì che la gigantesca nave da crociera Costa Concordia si fermò. Così, a dieci anni dal quel naufragio incredibile, sono stati ricordate le 32 persone che persero la vita. Metà di loro aveva oltre sessant’anni. Festeggiavano compleanni, nozze d’oro, pensionamenti dopo una vita di sacrifici. Il più anziano si chiamava Giovanni Masia, aveva 86 ed era uscito dalla Sardegna per la prima volta nella sua vita dopo il viaggio di nozze. La più piccola a perdere la vita fu Dayana Arlotti: aveva 6 anni. A morire furono anche lavoratori a bordo della nave della Costa: il batterista Giuseppe Girolamo e il violinista Sandor Feher, la barista Erika Fani Soria Molina, il cameriere Russel Rebello. Molti di loro, secondo molti testimoni, si sono attardati per aiutare i passeggeri nel panico, mentre a bordo l’organizzazione era assente perché nessuno coordinava l’evacuazione. Girolamo – è storia nota – cedette il proprio posto sulla scialuppa di salvataggio a beneficio di una bambina, consapevole di non saper nuotare.
La cerimonia in mare si è svolta dopo la messa di suffragio celebrata dal vescovo di Grosseto Giovanni Roncari in una gremita chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano a Giglio Porto, che ospitò alcuni dei naufraghi tratti in salvo. Molte le persone sbarcate sull’isola per le commemorazioni di oggi. “Sarà l’ultima celebrazione pubblica – dice il sindaco dell’isola del Giglio, Sergio Ortelli – perché non vogliamo dimenticare ma vogliamo rispettare le 32 vittime”. “Il consiglio comunale – aggiunge – ha deciso di celebrare questo giorno per sempre chiamandolo ‘Giornata della memoria’, perché è doveroso nei confronti dei parenti delle vittime del naufragio. Sulla nave c’erano persone di 54 nazionalità ed è giusto che vengano ricordate per sempre”. La giornata si concluderà con la fiaccolata dalla chiesa di Giglio Porto alla lapide commemorativa sul molo di levante.
Quel disastro, per il quale il comandante della nave Francesco Schettino è stato condannato in via definitiva a 16 anni e altri ufficiali suoi sottoposti hanno patteggiato pene inferiori, “ci insegna che si possono fare degli errori tragici e anche sistemici, perché ritengo che c’è un responsabile penale ma ci sono anche altri responsabili di questa tragedia” ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Gabrielli che all’epoca del naufragio era capo della Protezione Civile. “E ci insegna che è possibile riscattarsi, porre rimedio agli errori, e anche che laddove si realizzano corrette sinergie si possono conseguire cose straordinarie” conclude.
Gabrielli non chiarisce quali sono gli “altri responsabili” della sciagura del 2012. Alessandro Leopizzi, uno dei magistrati che si occupò dell’inchiesta che ora lavora alla Procura generale di Roma, a domanda risponde: “Altri responsabili oltre Schettino? Certamente. Gabrielli non ha scoperto nulla. Ci sono state sei persone che hanno patteggiato la loro pena”. Il suo capo di allora, l’ex procuratore di Grosseto Francesco Verusio, dall’altra parte afferma: “Ancora non riesco a capire come Schettino non trovi il coraggio di dire che in quell’occasione aveva perso la testa e non ci ha capito più niente. E’ umano dire che è stata fatta una sciocchezza e chiedere scusa per aver provocato la morte di 32 persone. Trovo che sarebbe arrivato il momento di dire queste cose”. Verusio aggiunge che Schettino “è un personaggio strano” e “ci ha fatto perdere un anno e mezzo di tempo, alla procura e ai giudici per un processo che tutti sapevano come sarebbe andato a finire. Ha fatto sprecare anche un sacco di soldi allo Stato che ha dovuto affittare un teatro per due anni”.
Al Giglio era presente anche il senatore Gregorio De Falco che all’epoca del disastro era a capo della sala operativa della Capitaneria di porto di Livorno. De Falco ha ribadito, come ha sempre fatto in questi anni, che quello di Schettino fu “un atto scellerato, incompatibile con la sicurezza: se io punto con la nave a 16-17 nodi a 300 metri dalla costa non sto facendo un inchino ma un atto scellerato“. Tornando sulla telefonata che fece il giro del mondo durante la quale De Falco ordinò al comandante di tornare a bordo (dopo che era fuggito quando ancora dovevano scendere centinaia di passeggeri), l’ex ufficiale della Guardia costiera di Livorno sottolinea – come ha già fatto nell’intervista video de ilfattoquotidiano.it che “è una frase che viene decontestualizzata ma si inserisce in un percorso di comunicazione che andava avanti da ore. Poi erano spariti tutti dalla plancia, non rispondevano alla radio e neanche al telefono. Nell’interesse dell’azione di soccorso chiedevo che tornasse a bordo l’autorità, ovvero il comandante, che poteva assumere su di se la responsabilità di derogare alcune norme, che pur giuste, erano inefficaci per garantire la sicurezza di quelle persone”.
L’ammiraglio Nicola Carlone, comandante generale della Guardia Costiera, ribadisce che “è inimmaginabile che un comandante di una nave compia una manovra del genere. Un incidente a cui nessuno sarebbe stato preparato. Quando la mattina abbiamo visto la nave sugli scogli abbiamo capito che era accaduto qualcosa di impensabile. Ma i ragazzi della Guardia costiera hanno improvvisato i soccorsi. Nel nostro Dna c’è scritto proprio questo: si va anche se il rischio è quello della vita”. “Quella sera – ricorda Carlone – ero a Roma alla sede operativa centrale. E la cosa che mi ricordo con più chiarezza sono i colleghi che agirono con tempestività e coraggio in un momento molto complicato. Le emozioni di oggi sono quelle di dieci anni fa”.
La ricorrenza dei dieci anni è stata l’occasione per ricordare cosa avvenne quella notte, soprattutto dal punto di vista dei familiari delle vittime, dei sopravvissuti, dei soccorritori. “E’ bello vedere che la nave non è più adagiata su quella scogliera – dice Kevin Rebello, fratello di Russell, cameriere indiano morto nel naufragio dopo . Significa che tanto è stato fatto. L’importante è ricordare, mio fratello, come tutte le altre vittime di questa immane tragedia. Sono qui anche per rispetto per tutti loro”. “Essere qui mi fa un effetto incredibile – ha aggiunto -. Dopo 10 anni l’isola è rimasta sempre la stessa, con le persone sempre più accoglienti”.
Massimiliano Bennati e Paolo Scipioni, sommozzatori dei vigili del fuoco, furono tra i primi ad arrivare nella zona dell’incidente: “Una volta arrivati vicini alla Concordia pensavamo che in acqua ci fossero centinaia di persone. Per fortuna molti erano con giubbotto salvagente e insieme a un altro collega siamo riusciti a salvare in acqua sette persone che erano quasi in ipotermia. Ricordo un francese che purtroppo non riuscimmo a salvare perché lo trovammo già riverso nell’acqua ed è stato una delle prime vittime accertate. La moglie continuava a urlarci in francese: ‘Mio marito, aiutate mio marito'”.
Il racconto di Luciano Castro, romano, uno dei superstiti: “Ero a cena al ristorante a poppa, all’altezza del ponte 4, quando ho sentito una vibrazione molto forte, poi un colpo che non era altro che lo strappo provocato dallo scoglio sulla chiglia. Ci fu un blackout ma nessuno ci disse cosa era accaduto. Molti di quelli che erano con me non avevano fatto ancora le esercitazioni in caso di incidente a bordo, cosa che era in programma il giorno successivo”. “Dopo pochi minuti scoppiò il caos – ha aggiunto -. La mia fortuna fu di trovarmi difronte a una scialuppa, la numero 14, che stava imbarcando le prime persone. Era piena ma chiesi se per favore di farmi salire. Eravamo sul lato sinistro della nave, quello che poi si ribaltò. Se non fossi salito su quella scialuppa chissà cosa mi sarebbe successo“.