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Se esaminiamo con occhio storico e sociologico le caratteristiche delle organizzazioni di stampo mafioso, notiamo che ne esiste una che le accomuna tutte. Fin dai tempi del feudalesimo e del latifondo, infatti, i mafiosi intrecciano rapporti con la politica. Con il passare degli anni questi rapporti, ovviamente basati sull’interesse reciproco, si sono evoluti fino a fare entrare i due mondi in simbiosi: ormai la mafia non può vivere senza la politica, e viceversa.

Se è vero, però, che la finalità ultima della politica è governare una nazione, e se la mafia vi è in qualche modo connessa, significa che anche l’organizzazione ha le stesse finalità. Se convivi con i politici, finisce che “ti senti” come loro e hai gli stessi desideri e le stesse finalità. D’altronde, criminalità organizzata non è “sempre” criminalità mafiosa. Un’organizzazione di spacciatori o di rapinatori ha come fine ultimo il denaro e si disinteressa del resto. L’organizzazione mafiosa invece va oltre. La mafia cerca il potere, vuole imporre la propria sovranità sul territorio in cui opera, con l’obiettivo di espanderlo in tutto il paese. Ha mire politiche, e come fanno tutti i partiti ha bisogno del consenso della popolazione.

Spesso infatti le organizzazioni mafiose aiutano le famiglie bisognose e costruiscono centri di aggregazione nei quartieri popolari delle città, perché vogliono ingraziarsi la gente. Questo comporta anche che il livello di violenza esercitato dall’organizzazione deve essere ragionato e rivolto solo verso i nemici del “territorio”, non può essere indiscriminato perché altrimenti la popolazione le sarebbe ostile.

Quindi la criminalità mafiosa non è più criminalità comune, perché se la mafia fa “politica” significa che ha un’ideologia e agisce come un partito. Come si vede, il concetto di mafia è estremamente più sottile e raffinato di quanto non si pensi.

E non è finita. Un’associazione con proprie regole, codici, riti e finalità rappresenta un ordinamento alternativo a quello statuale, con il quale però convive. La conseguenza è che un’organizzazione mafiosa è una forma di eversione, quindi è un’associazione sovversiva con un’ideologia né di destra, né di sinistra: è portatrice di un’ideologia propria, quindi un omicidio o una strage di mafia devono essere classificati come atti di terrorismo. D’altronde, cos’altro sono stati gli attentati con autobomba del ’93 a Milano, Firenze e Roma (e le dieci vittime che hanno provocato)? E le bombe che a Foggia esplodono solo per spaventare la gente, cosa sono se non atti di terrorismo? È un’eversione particolare che si distingue da quella politica in senso stretto, perciò possiamo parlare di eversione mafiosa.

Come ogni forma criminosa, e più di altre, la criminalità mafiosa deve essere combattuta con forza. Per almeno quattro motivi.

Il primo: il dovere morale che ha uno stato serio di fronteggiare associazioni dedite alla violenza e alla consumazione di reati gravi.

Il secondo: per ostacolare la lenta e sinuosa ascesa delle mafie al potere politico.

Il terzo: per evitare il verificarsi di fatti di sangue.

Il quarto: per contrastare l’enorme danno economico cagionato dalle organizzazioni mafiose al sistema finanziario/economico nazionale e internazionale. Le mafie italiane generano un prodotto quantificabile intorno ai 200 miliardi annui, il dieci per cento del Pil nazionale. È un’immane mole di denaro, completamente sottratta all’economia legale, che entra nelle casse delle organizzazioni ed è utilizzata per comprare stupefacenti e fare altri investimenti, perpetuando all’infinito un giro che accresce i forzieri delle cosche.

In questo paese abbiamo eliminato il terrorismo senza minare la democrazia, forse possiamo abbattere anche le organizzazioni mafiose. In fondo, come diceva Giovanni Falcone, queste sono composte da uomini: una volta assicurati tutti alla giustizia, l’associazione non esiste più. Potrebbe essere più facile del previsto? Forse. Basta volerlo.

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