Napoli è da sempre un Giano bifronte in cui la Verità appare per il lato che si osserva. Napoli è una Sirena bellissima ed ammaliante ma che conduce alla morte se la ascolti o che si lascia morire se non riesce a sedurti. Napoli purtroppo non è solo la luce delle “Meraviglie” di Alberto Angela che, per poterla descrivere in quel modo eccezionale ed entusiasmante, ha dovuto creare un presupposto essenziale: girare di notte, e senza o con pochissimi e selezionatissimi napoletani!
Napoli è anche, ma non è solo, il buio profondo, tragico e senza alcuna speranza dei protagonisti di Gomorra.
Gomorra è vita senza alcuna speranza. Da sola non è certamente Napoli. Solo chi riesce a vedere e a descrivere contemporaneamente sia la luce che il buio di Napoli sarà colui che, come Ulisse, riuscirà ad ascoltare il canto delle Sirene ma riuscirà anche a sopravvivere alla loro seduzione mortale. Solo mettendo insieme quindi la luce delle Meraviglie di Alberto Angela e il buio più profondo e senza speranza della Gomorra di Roberto Saviano ognuno di noi, turista ma soprattutto napoletano che vive oggi a Napoli, può cominciare a comprendere cosa sia veramente Napoli e perché è sempre e solo un teatro, una scenografia, e ogni cosa che si vede nella realtà non è mai assolutamente ciò che appare.
Solo dal buio profondo del lombardo maestro Caravaggio poteva comparire e folgorare, nella scena delle 7 Opere di Misericordia Corporale dipinta nel 1606, il morto illuminato dalle fiaccole che esce con i piedi di fuori accompagnato dai monatti nell’edificio dove lo stesso bagliore illumina contemporaneamente la scena – ancora oggi violenta, erotica al limite dell’osceno – della giovane e bella donna, Pero, che allatta il vecchio padre Cimone incarcerato e condannato a morte per fame. Ogni giorno Pero si recava in visita all’anziano padre e lo sfamava con il latte dal suo seno. Scoperta da un secondino, il suo atto di generosità impressionò i giudici che concessero il rilascio del padre. L’episodio è rappresentato come un grande atto di pietas (generosità filiale) e onore romano già in un affresco in una villa di Pompei e tornò ad essere raffigurato nel Rinascimento e nel Seicento. In genere queste opere sono tutte intitolate “Caritas romana”. Nonostante sia raffigurata una giovane donna che fa succhiare il seno a un vecchio che ha le mani legate dietro la schiena, la rappresentazione di questo atto fu sempre tollerata e mai censurata neppure negli anni del Rinascimento, in quanto considerata per il suo senso morale e non per la blasfema impressione iniziale.
Caravaggio ne ripropone il mito sull’altare della chiesa del Pio Monte della Misericordia di Napoli ma forse è un semplice paraustiello, come si dice a Napoli (ossia una scusa particolarmente argomentata, improbabile, utilizzata per convincere il nostro interlocutore di qualcosa di insostenibile) per consentire al Maestro lombardo di mostrare la Verità: cioè come, per non morire, i Napoletani erano allora come oggi pronti a qualunque atto, anche immorale, ma che si autonobilita quale atto supremo per la difesa della vita, dei figli e dei padri.
Nella Napoli del ‘600 come in quella di oggi è normale dividere il mantello con chi non ce l’ha o dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati in assembramenti pericolosi per le strade sempre affollatissime; con buona pace del Viceré di allora come di oggi. Ma tutto, sia la luce che le tenebre di Napoli, è rischiarato e protetto dall’alto dall’immagine bellissima e dolcissima di una Madonna con bambino che, pure da secoli prima, fa comprendere al meglio il saluto benedicente per qualunque napoletano che si accinga a percorrere di notte, nel buio di allora come di oggi, le strade di Napoli: “ A Maronna t’accumpagna!”.
Re Ferdinando IV di Borbone, salito al trono nel 1759, constatò che il fenomeno della malavita, intorno al 1770, era oltremodo aumentato (tanto per cambiare…). Per scoraggiare ladri e assassini, pensò di far illuminare le strade, ma le casse del Regno non erano particolarmente piene e i pali della luce installati non erano certo sufficienti ad illuminare una città grande come Napoli. Il frate domenicano padre Gregorio Maria Rocco propose al sovrano una soluzione:
“Maestà, datemi la licenza dell’illuminazione della città. Non farò spendere alle casse del Regno nemmeno un ducato!“ disse presentandosi a Palazzo Reale. Il re accettò la proposta senza sapere cosa avesse in mente il frate.
Padre Gregorio Maria Rocco, alcuni anni prima, aveva trovato nei sotterranei del monastero di Santo Spirito un dipinto della Madonna. Decise di far realizzare centinaia di copie di quel quadro e di farle collocare in edicole votive sparse per tutte la città. “Napoletani – disse ai residenti di ogni quartiere – la Madonna che sta nella vostra strada è uguale a quella delle altre strade di Napoli. Se voi volete davvero bene alla vostra Madonna, dovete sempre tenerla illuminata“.
Facendo leva sulla sensibilità e sulla devozione dei napoletani nei confronti della Vergine Maria, riuscì a mantenere la parola data al sovrano. Ogni quartiere, infatti, tenne accese le lampade ad olio poste davanti alla Madonna e tutte le strade di Napoli furono rischiarate. Ne venne di conseguenza che chi usciva da casa fosse salutato con l’esclamazione augurale: “A Maronna t’accumpagna!” (Possa tu camminare senza pensieri, protetto dalla luce della Madonna!).
Tutto è stato compreso, dipinto ed anticipato nel 1606 dal maestro lombardo Caravaggio, che è riuscito a fondere al meglio la luce e il buio di Napoli e quindi a descriverla compiutamente. Napoli non è solo le Meraviglie di Alberto Angela. Napoli non è solo il buio disperato e malvagio di Gomorra. Napoli è da sempre, indissolubilmente, entrambe le cose.