Mentre un primo passo in avanti per la legalizzazione della cannabis è stato fatto con la validazione delle firme per il referendum, si rischia la messa al bando della cannabis light, quella che contiene principalmente Cbd e viene venduta liberamente in negozi e tabaccherie. Il 12 gennaio la Conferenza Stato Regioni ha approvato un decreto interministeriale che mira a ridefinire “l’elenco delle specie di piante officinali coltivate nonché criteri di raccolta e prima trasformazione delle specie di piante officinali spontanee”. Una versione che “rischia di cancellare, se non mandare in galera, l’intero settore della cannabis light in Italia”, è l’allarme lanciato da Leonardo Fiorentini di Forum Droghe e Marco Perduca dell’Associazione Luca Coscioni nonché presidente del Comitato Referendum.

Perduca e Fiorentini con una nota si appellano ai ministri competenti “perché modifichino il decreto all’art. 1 comma 4”. In caso contrario, annunciano “organizzeremo una risposta coordinata tra pazienti e imprenditori per mandare in soffitta definitivamente provvedimenti anti-scientifici e ideologici”. Ad allertare le associazioni interessate è stato il punto 4 del decreto, in cui si fa sottostare “la coltivazione delle piante di cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale” al Testo unico sugli stupefacenti, a prescindere che vi siano o meno sostanze psicoattive al di sopra dei limiti della legge sulla filiera agroindustriale della canapa del 2016.

In pratica: “Tutti i coltivatori e i rivenditori di infiorescenze di cannabis light sarebbero passibili (da un giorno all’altro) delle sanzioni derivanti dall’apparato penale del Dpr 309/90 che ne vieta la coltivazione senza un’autorizzazione da parte del ministero della Salute”. Se il decreto passasse, ad avviso di Perduca e Fiorentini, porterebbe allo smantellamento di un’industria da 3mila aziende e 10mila lavoratori, prevalentemente giovani. Nel comunicato si ricorda poi che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha più volte “raccomandato l’esclusione delle proprietà del Cbd dalle sostanze vietate, alcune di queste sono state raccolte dalla Commissione droghe delle Nazioni unite (Onu) che a dicembre del 2020 ha cancellato la cannabis dalla IV tabella della Convenzione 1961, col voto favorevole dell’Italia”.

“Infilare con un decreto ministeriale questa sottomissione di produzione alle norme della 309/90 oltre che andar contro il buon senso, è giuridicamente molto discutibile”, continua la nota di denuncia. “Sicuramente occorre una regolamentazione che chiarisca cosa può esser coltivato e come per garantire le quantità e qualità di cannabinoidi terapeutici necessari a garantire i piani terapeutici di decine di migliaia di persone”. Ad esempio, i prodotti con una determinata soglia di Cbd, secondo Perduca e Fiorentini, vanno trattati come farmaci e quelli al di sotto come integratori, “come già succede oggi per molte altre sostanze anche in altri Stati dell’Unione europea”, ricordano i due.

“Questo gravissimo riportare l’orologio indietro – concludono Perduca e Fiorentini – avviene a pochi giorni dalla prima riunione del tavolo tecnico tra ministero della Salute e associazioni di pazienti cannabis, voluto dal sottosegretario Andrea Costa per ascoltare le esigenze di approvvigionamento quantitativo e qualitativo. Perché delegare alla Conferenza Stato Regione un provvedimento che, letteralmente, fa di tutta l’erba un fascio rischiando di mettere fuori gioco l’intera filiera delle infiorescenze e prodotti a base di Cbd?”.

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