Il calcio italiano batte cassa. Il regalo da 450 milioni di tasse sospese appena infilato in manovra non basta. Dalla Serie A che pretende ristori, alla Serie B che non vuole pagare contributi nemmeno sull’anno passato, il pallone ridotto “al lumicino” torna alla carica per avere aiuti che quasi sicuramente non avrà, e probabilmente non si merita nemmeno.
Non è la prima volta che succede: è da più di un anno che il pallone piange miseria e bussa alla porta del governo. Prima non vuole pagare le tasse, poi chiede indietro gli sponsor delle scommesse sportive proibite dal decreto dignità. Adesso pretende addirittura ristori: soldi pubblici a fondo perduto ai ricchi presidenti della Serie A, ridotti sul lastrico dalla loro condotta scellerata più che dal Covid. La richiesta farebbe quasi sorridere se non fosse vera: è stata messa nera su bianco in una lettera indirizzata dal presidente della Lega Calcio a Palazzo Chigi, all’attenzione della sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali. La Serie A chiede il suo “autorevole intervento” per sensibilizzare il premier a intervenire “con “misure di effettivo e concreto sostegno delle nostre società che sono al lumicino della resistenza gestionale e che rischiano di gettare la spugna“. Tradotto: vogliono soldi.
È il seguito di quanto successo la settimana scorsa, quando la Lega calcio ha ridotto la capienza degli stadi a 5mila spettatori per le prossime due giornate, dopo la chiamata di Draghi. I presidenti hanno accolto il “consiglio” del premier controvoglia (nessuno poteva dirgli di no), ma avevano già pronta la contromossa: “Visto che ci fanno chiudere, allora chiediamo i ristori”, hanno proposto in tanti. E così è stato, aggiungendo alla letterina altri desideri, come ulteriori sgravi fiscali e “misure straordinarie” non meglio precisate. Inutile dire che la richiesta non sarà nemmeno presa in considerazione. In maniera anche un po’ sgarbata il pallone chiama in causa il cinema, sottolineando la “palese disparità di trattamento col settore cultura e spettacolo al quale apparteniamo”. Ma in realtà il calcio ha appena ottenuto la sospensione delle ritenute per i primi 4 mesi del 2022, un privilegio che ad altri mondi altrettanto in crisi non è stato concesso.
Non è tutto. Perché se la Serie A batte cassa, la Serie B non è da meno: adesso anche i club della cadetteria non vogliono più pagare le tasse. Non quelle del 2022, che appunto sono già state sospese dal governo a tutte le società sportive professionistiche. La Serie B vuole scansare pure i controlli sulle scadenze del 2021, che erano appena state ripristinate dalla FederCalcio dopo le polemiche degli scorsi mesi (da parte del patron della Fiorentina, Rocco Commisso, su tutti), proprio per ridare una parvenza di regolarità ai tornei. Entro il 16 febbraio bisogna dimostrare di aver saldato tasse e contributi almeno fino a ottobre 2021, altrimenti cominceranno a piovere penalizzazioni in classifica. Invece a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it le società hanno avviato una raccolta di firme per chiedere alla Figc un’ulteriore deroga. La scusa è sempre la stessa: il Covid e il rinvio di un paio di giornate a causa della variante Omicron. Ma la pandemia è stata solo la spallata finale a un sistema che era già sull’orlo del baratro, come raccontano i numeri dell’ultimo Report calcio, che dimostra come i mancati ricavi da Covid siano soltanto una parte della voragine nei conti dei club. Il calcio continua a prendere in giro il governo, prende in giro soprattutto se stesso.
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