Società

No del sindacato di Polizia alle mascherine rosa: quando si dice le priorità

Quando si dice le priorità: i dispositivi Ffp2, che comunemente chiamiamo mascherine, nell’ultimo periodo obbligatorie in questo formato anche all’aperto perché più protettive e filtranti di quelle usate in precedenza, sono un elemento indispensabile nella lotta contro il maledetto virus, unitamente al vaccino e alla puntuale disinfezione delle mani. Però diciamolo, c’è un limite a tutto: quando prima facie (cito testualmente la forbita espressione latina dalla lettera del sindacato di polizia Sap inviata al Capo della polizia e al Ministro dell’Interno) si ricevono mascherine di un colore non consono all’amministrazione è urgente mobilitarsi.

“Chiediamo un immediato intervento volto ad assicurare che i colleghi prestino servizio con mascherine di un colore diverso (bianche, azzurre, blu o nere) e comunque coerenti con l’uniforme della Polizia di Stato evitando dispositivi di altri colori o con eventuali decorazioni da ritenere assolutamente inopportuni soprattutto se acquistati e forniti dall’Amministrazione”. Questo è quanto scritto nella lettera, che lamenta l’arrivo nelle questure di Varese, Siracusa, Venezia, Ferrara e Pavia delle mascherine colorate inopportunamente.

Per chi ancora non fosse al corrente il colore non consono è il rosa. Che sorpresa, dopo anni di formazione sugli stereotipi sessisti. Nemmeno si fosse trattato di suggerire ai poliziotti di indossare tutta la divisa rosa.

Le mascherine, spesso introvabili ancorché indispensabili, sono state rifiutate dal sindacato, che ritiene il rosa essere un colore inopportuno, che “risulta eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare l’immagine della istituzione”.

Già, l’uniforme: Lidia Menapace, che nel suo breve mandato parlamentare aveva avuto ottimi rapporti con alcuni alti ufficiali dell’esercito, sosteneva che l’uniformità è antagonista della diversità, e che il pensiero uniforme, per sua natura monotono e monocorde, è avverso alla vivacità e all’intelligenza collettiva e trasformativa.

Certamente, se la visione del mondo è uniforme, non è accettabile che si guardi al di là di ciò si ritiene immutabile: rosa per le femmine, azzurro per i maschi, l’uomo è cacciatore, donne e motori gioie e dolori, auguri e figli maschi. Forse si poteva sorridere qualche decennio fa di questi stereotipi, ora non è un po’ triste un repertorio così frusto e meschino?

Sarebbe troppo facile obiettare che l’immagine della polizia rischia di essere pregiudicata dalle azioni inqualificabili delle quali, purtroppo, una minoranza di poliziotti si macchia a discredito della stragrande maggioranza di donne e uomini che quotidianamente serve il paese con dedizione e impegno. Risulta però surreale che un sindacato di polizia senta il bisogno di mobilitarsi contro un colore, senza il coraggio e l’onestà, rispettabili quando resi manifesti, di dire il perché di tanta opposizione.

Il rosa non è decoroso per gli uomini perché sin dalla pancia delle madri lo si attribuisce alle femmine? Ne consegue che una donna vestita di rosa va bene, ma un uomo non è un vero uomo se veste capi di questo colore? Se un uomo lo indossa è dunque sospettabile di omosessualità, mancanza di attributi virili, quindi perde in decoro, credibilità e rispettabilità?

Il catalogo dei pregiudizi sessisti che partono da colori, oggetti, azioni ritenuti pertinenti ed esclusivi per l’uno o l’altro sesso è infinito. Mi viene in mente quando, nel 2016, Giorgio Napolitano, presidente emerito, potente, colto comunista chiosò la sua contrarietà all’uso del femminile nella lingua italiana, seguito dal fragoroso applauso alla sua esternazione, durante un evento pubblico al quale erano presenti sia Laura Boldrini sia Valeria Fedeli, entrambe impegnate nell’adozione di vocaboli femminili, previsti nella lingua italiana, che eliminassero l’uso maschile nelle cariche istituzionali: “Valeria non si dorrà se insisto in una licenza, quella di reagire alla trasformazione di dignitosi vocaboli della lingua italiana nell’orribile appellativo di ministra o in quello abominevole di sindaca”.

Pensate alla potenza simbolica delle parole, ancora prima di qualunque azione concreta: opporsi all’uso di sindaca, ministra, assessora significa che queste parole, diverse solo per una vocale dalla versione maschile, hanno dentro tutta la potenza della realtà, che fa evidentemente molta paura e con la quale fare i conti è insopportabile. Pensate alla potenza simbolica di un colore, celebrato nella poesia e nell’arte come evocatore di bellezza, grazia, meraviglia, eleganza, e però considerato non dignitoso per un uomo: magari lo può mettere un artista, un cantante per questo trasgressivo, un omosessuale (i nazisti usarono liste rosa per individuare gli omosessuali durante le retate della polizia), ma guai a essere un poliziotto, al quale non si chiede di indossare la divisa rosa, ma semplicemente, in una situazione di emergenza e per non sprecare tempo e denaro, di portare per qualche ora un dispositivo di sicurezza colorato di rosa.

Cosa mi auguro? Da cittadina mi auguro di vedere presto poliziotti con mascherine (indossate correttamente su naso e bocca) di ogni colore: rosa, arancione, rosso, giallo e come vi pare. Suggerisco, tra l’altro, di adottare per i poliziotti l’uso di Fftp2 rosa in segno di solidarietà durante le campagne contro la violenza maschile sulle donne.

Questo segno di resilienza, intelligenza e maturità, lontana dalle idiosincrasie francamente al limite dell’ossessività misogina, mi farebbe rispettare ancora di più chi ha scelto di servire il paese e la democrazia con una divisa, ma fuori dall’uniformità di pensiero.