Il decreto di recepimento della direttiva europea esclude diverse categorie di prodotti. "Il nostro Paese ha ignorato l'obiettivo di promuovere soluzioni basate sul riutilizzo", attacca Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia, secondo cui c’è il rischio che venga avviato l’iter per una procedura d’infrazione. Nelle ultime settimane, inoltre, stanno comparendo sul mercato prodotti simili a quelli monouso ma ‘riutilizzabili': secondo il presidente di Legambiente Ciafani il risultato sarà "un incremento dell’utilizzo di plastica piuttosto che una sua diminuzione”
Un passo avanti sì, ma non certo la rivoluzione che si cercava di disegnare con la direttiva Ue Sup (Single Use Plastic) del 2019. Non ci sarà l’addio alla plastica monouso con l’entrata in vigore il 14 gennaio del decreto legislativo 196, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 30 novembre scorso e che recepisce quella direttiva. Il divieto di vendere, tra le altre cose, posate, piatti, cannucce ed altri prodotti in plastica, anche oxo-degradabile, ossia le materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti, esclude diverse categorie di prodotti. Intanto, perché, per i quelli in plastica destinati a entrare in contatto con gli alimenti (tra cui piatti e posate) la legge italiana consente di aggirare il divieto europeo ricorrendo ad alternative in plastica biodegradabile e compostabile, che non risolvono il problema.
Ritardi, esenzioni e rischio infrazioni – “Altro che stop al monouso. In Italia la direttiva entra in vigore con colpevole ritardo (il termine era il 3 luglio 2021, ndr), incomprensibili esenzioni nei confronti di prodotti rivestiti in plastica e deroghe ingiustificate per gli articoli monouso in plastica compostabile, in alternativa ai prodotti vietati dalle regole europee”, denuncia Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, secondo cui il decreto che prevede multe salate per i trasgressori (dai 2.500 ai 25mila euro) “è in evidente contrasto con alcuni dettami comunitari” e, quindi, “c’è il concreto rischio che venga avviato l’iter per una procedura d’infrazione”. Nelle ultime settimane, inoltre, stanno comparendo sul mercato prodotti in plastica molto simili a quelli monouso ma ‘riutilizzabili’ per un numero limitato di volte. Secondo il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, “un modo per aggirare il bando e che porta ad un incremento dell’utilizzo di plastica piuttosto che ad una sua diminuzione”. Il resto lo fa il decreto di recepimento della direttiva che puntava a dimezzare i rifiuti derivati dai dieci prodotti di plastica monouso più diffusi di oltre il 50 per cento.
I prodotti vietati – Il testo italiano vieta la vendita anche di bastoncini cotonati (cotton fioc), agitatori per bevande, aste da attaccare a sostegno dei palloncini, contenitori e tazze per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi e alcuni specifici contenitori per alimenti in polistirene espanso. Vale a dire “recipienti quali scatole con o senza coperchio” usati per alimenti che sono destinati al consumo immediato, sul posto o da asporto e che, senza ulteriore preparazione, sono generalmente consumati direttamente dal recipiente, compresi i contenitori per alimenti tipo fast food o per altri pasti, sempre pronti per il consumo immediato. Misura introdotta attraverso un emendamento, approvato nella scorsa legislatura al Parlamento europeo e firmato dal Movimento 5 Stelle, ricorda l’europarlamentare Sabrina Pignedoli che da un lato torna a quel passaggio storico in Europa, dall’altro sottolinea oggi “la mancanza di decreti attuativi”. Uno dei problemi evidenziati in queste ore, ma non l’unico.
Cosa resta fuori – Il principale, infatti, sta proprio nell’abbassamento del livello di ambizione rispetto alla Sup. In base alla norma comunitaria le alternative in plastica biodegradabile e compostabile per i prodotti destinati a entrare in contatto con gli alimenti dovrebbero essere vietate, al pari delle stoviglie realizzate con plastiche derivate da petrolio e gas fossile. “La direttiva offriva l’opportunità di andare oltre il monouso e la semplice sostituzione di un materiale con un altro, promuovendo soluzioni basate sul riutilizzo. Un obiettivo che è stato volutamente ignorato dal nostro Paese” spiega Ungherese, secondo cui “limitare i danni delle plastiche sull’ambiente non vuol dire sostituire i materiali, spostando così gli impatti su altri comparti ambientali e lasciando inalterato il modello dell’usa e getta”. Tanto più che non c’è alcuna chiarezza su quando una plastica possa essere definita biodegradabile o compostabile. Un’altra deviazione rispetto alla direttiva, che già aveva fatto discutere, è “l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva dei prodotti dotati di rivestimento in plastica con un peso inferiore al 10 per cento dell’intero prodotto. “Su questa tipologia di articoli – aggiunge Ungherese – i dettami comunitari non prevedono tuttavia alcuna deroga”. Tanto che ora Greenpeace guarda all’Unione europea (“Ci auguriamo che imponga al governo italiano le modifiche”) e teme che venga avviato l’iter per una procedura d’infrazione. Ecco perché un gruppo di ONG composto da Greenpeace, ClienthEarth, ECOS e Rethink Plastic Alliance aveva già presentato nei mesi scorsi un reclamo ufficiale alle autorità europee.
Le altre novità – Per promuovere l’uso di prodotti alternativi a quelli vietati, il decreto prevede agevolazioni per le aziende che ne facevano uso, sotto forma di credito d’imposta, nel limite massimo complessivo di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024. Per esercenti e produttori, inoltre, sarà possibile usare le scorte esistenti fino ad esaurimento, a patto che possano provare l’effettiva immissione sul mercato prima del 14 gennaio 2022. Nel giro di un anno, inoltre, il Ministero della transizione ecologica dovrà indicare con un decreto i criteri ambientali minimi per i servizi di ristorazione, con e senza l’installazione di macchine distributrici di alimenti, bevande e acqua, nonché i criteri ambientali minimi per l’organizzazione di eventi e produzioni cinematografiche e televisive. Novità non sufficienti, secondo Greenpeace, che ricorda come c’è un elenco preciso e ristretto di prodotti monouso soggetti a riduzione del consumo o restrizioni sull’immissione in mercato.
Dalle bottiglie agli imballaggi – Per altri prodotti, come le bottiglie, non è previsto alcuno stop “ma solo requisiti di progettazioni, misure che riguardano la EPR (responsabilità estesa del produttore), target di raccolta differenziata”. Nello specifico, a partire dal 2025, le bottiglie fabbricate con polietilene tereftalato come componente principale (quelle in PET), devono contenere almeno il 25% di plastica riciclata, percentuale che salirà al 30% a partire dal 2030. Dal 2024, poi, il tappo delle bottiglie in Pet di capacità fino a 3 litri (per i quali la Sup punta a una raccolta differenziata del 77% nel 2025, del 90% al 2029), dovrà essere attaccato al contenitore. Anche per gli attrezzi da pesca ci sono solo misure di sensibilizzazione e che riguardano la responsabilità estesa del produttore. E poi c’è un altro nodo. “Ad oggi, l’Italia non ha adottato misure risolutive sulla frazione di plastica che usiamo di più, cioè l’imballaggio”, spiega Ungherese, sottolineando che il settore “è poco toccato dalla direttiva. Ci auguriamo una maggiore ambizione dell’Ue nella revisione della direttiva sugli imballaggi attesa per primo quadrimestre 2022, pandemia permettendo”.
Cosa si fa negli altri Paesi – Con il recepimento della SUP, invece, molte nazioni europee si sono dotate di nuove leggi, anche in questa direzione. La Francia ha varato misure per ridurre il consumo di prodotti in plastica monouso e promuovere la diffusione di prodotti e imballaggi riutilizzabili, inclusi bicchieri e tazze per bevande, contenitori alimentari per il consumo sul posto e da asporto, oltre al divieto di vendere frutta e verdura confezionata in plastica nei supermercati. La Spagna sta andando nella stessa direzione, mentre la Germania ha introdotto una legge che obbliga gli esercenti a mettere a disposizione dei consumatori alimenti e bevande anche in contenitori riutilizzabili, sia per il consumo sul posto che da asporto. In Austria invece è stato da poco approvato un disegno di legge che obbliga la vendita di una quota di bevande in contenitori riutilizzabili.