Gli atenei, nonostante siano teoricamente coordinati dalla Crui (la Conferenza dei rettori delle università italiane), nella pratica si sono divisi e hanno scelto di prendere decisioni sul rientro in modo autonomo, alimentando le critiche degli studenti sulle disparità e le diseguaglianze che si vengono a creare sulle modalità e gli esiti degli esami
Nelle ultime settimane si è assistito ad un acceso dibattito tra governo, Regioni, sindacati, presidi e addirittura studenti sul tema del rientro a scuola, mentre quasi nessuno si è ricordato del mondo delle università né si è espresso a riguardo. Sembra paradossale, ma è così, come purtroppo è sempre stato, e la cosa appare abbastanza grave se si prende in considerazione il fatto che la popolazione accademica (tra studenti e personale docente e non) conta quasi 2 milioni di unità. Le uniche novità da tempo per il mondo universitario sono state l’estensione dell’obbligo vaccinale dal primo febbraio a tutto il personale docente e amministrativo, stabilito con il decreto legge anti-Covid del 5 gennaio scorso, e una timidissima nota del Mur che apre agli atenei, in situazioni di “particolare eccezionalità”, la possibilità di svolgere prove, sedute di laurea e esami di profitto programmati per la sessione di gennaio e di febbraio anche a distanza, quindi dando piena libertà di organizzazione della didattica stessa a ogni singolo ateneo.
LA SITUAZIONE NELLE VARIE UNIVERSITÀ – Le università, nonostante siano teoricamente coordinate dalla Crui (la Conferenza dei rettori delle università italiane), nella pratica si sono divise e hanno scelto di prendere decisioni in modo autonomo, alimentando le critiche degli studenti sulle disparità e le diseguaglianze che si vengono a creare tra ateneo e ateneo sulle modalità e gli esiti degli esami. Le conseguenze sono immediatamente evidenti: è più facile l’organizzazione per le università più ricche, che possono permettersi di organizzare il rientro o almeno un sistema integrato. Mentre per tutte le altre non c’è altra strada se non la chiusura, aggiungendo difficoltà logistiche agli studenti che hanno meno possibilità (i fuorisede prima di tutto). Ma nonostante le proteste e le preoccupazioni, le università insistono nell’andare in ordine sparso.
A Milano, per esempio, il Politecnico e la Bocconi hanno deciso di mantenere gli esami prevalentemente in presenza con le dovute eccezioni per i soggetti in quarantena o fragili mentre in Statale, Bicocca e Cattolica gli esami orali tornano ad essere a distanza. Rimanendo sempre nel Nord ma spostandosi in Piemonte, si scopre che, mentre l’Università e il Politecnico di Torino hanno deciso di sospendere tutte le attività didattiche dal 7 al 15 gennaio, il rettore dell’Università del Piemonte Orientale, Gian Carlo Avanzi, chiude sulla Dad e si schiera a favore della ripresa delle lezioni in presenza. A Roma la rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni, ha mandato una lettera all’intera comunità accademica in cui spiega l’intenzione dell’ateneo di svolgere tutte le attività prioritariamente in presenza ma invita “le strutture didattiche a ricorrere” eventualmente, “con flessibilità, alla modalità a distanza”. L’Università di Urbino ha deciso per lo svolgimento degli esami esclusivamente in modalità online, almeno per tutta la durata della sessione invernale, mentre l’Università Federico II di Napoli ha previsto la Dad solo per gli studenti positivi al Covid, in quarantena a casa o per soggetti fragili per tutta la sessione invernale e fino a marzo compreso. L’Università Aldo Moro di Bari aveva preceduto tutti e già il 29 dicembre, con una delibera del suo Senato accademico ha concesso, fino al 31 gennaio, la possibilità agli studenti di chiedere lo svolgimento degli esami scritti e orali anche a distanza ma limitando a 7 il numero di ospiti che potranno accedere alle sedute di laurea.
LE ESIGENZE DEGLI STUDENTI – All’interno di questo caos gli studenti accusano il ministero e i rettori di “non aver ascoltato le loro necessità” e di aver preso “provvedimenti disomogenei” senza tener conto delle esigenze di quelli che li dovranno poi subire. Tra l’altro, tutte queste decisioni sono state adottate a pochissimi giorni (se non addirittura alla vigilia stessa) dalla ripresa della sessione invernale e questo ha suscitato diverse perplessità e confusione tra gli studenti, in primis pendolari e fuori sede. Questi ultimi infatti incontrano problemi non solo per quanto riguarda gli affitti (è illogico trasferirsi lontano da casa per fare Dad), ma anche per quanto riguarda i trasporti, visto l’aumento dei prezzi e le cancellazioni delle corse. Emma Creola, rappresentante degli studenti nella facoltà di Giurisprudenza della Statale di Milano per la lista Unilab, spiega alla redazione de ilfattoquotidiano.it che nella sua università la decisione di riprendere gli esami orali a distanza per tutti è stata presa “senza consultare le rappresentanze e quindi gli studenti”. “Come lista – continua – ci aspettavamo di più dall’Ateneo che ha deciso di riportare un’intera comunità studentesca a marzo 2020, quando il vaccino non c’era e si sapeva molto poco della malattia”. Spiega poi che quello che chiedono gli studenti è “una modalità mista, che da un lato tuteli gli studenti fragili, i caregivers e quelli in quarantena e che dall’altro lato permetta a tutti gli altri di tornare a vivere una fase fondamentale per la loro formazione”. “Si è optato – conclude poi Emma – per la strada più semplice, anziché pensare a soluzioni magari più complesse da un punto di vista organizzativo, che però tengano conto delle esigenze di tutti gli studenti”.
DIDATTICA A DISTANZA O INTEGRATA? – Altro tema molto dibattuto tra gli studenti e le università negli ultimi mesi è anche quello riguardante la didattica digitale integrata (Ddi). L’opinione degli studenti è abbastanza unanime, e cioè favorevole ad un suo utilizzo permanente. Matteo Giugovaz, rappresentante nel Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu) spiega a ilfattoquotidiano.it come “l’uso della Dad debba essere ridotta al minimo, se non in quei casi ove sia impossibile garantire il rispetto delle norme di sicurezza per il contenimento della pandemia”. “Auspichiamo – continua Matteo – che tutti gli atenei possano riprendere il prima possibile in presenza, integrando in maniera efficace gli strumenti di didattica tradizionali con quelli innovativi sviluppati nell’ultimo periodo”. Concorda con lui Carlo Giovani, anch’egli membro del Cnsu, che sostiene che un ritorno generale in presenza sarebbe auspicato perché “un’eventuale nuova chiusura impatterebbe negativamente sulla condizione studentesca, in quanto non tutti sono sufficientemente fortunati ad avere a casa spazi adeguati per lo studio.”
LE RISPOSTE DEL MINISTERO – Sulle questioni sopraesposte il Mur spiega alla redazione de ilfattoquotidiano.it che, dietro alla decisione di lasciare piena autonomia e libertà di scelta alle università nell’organizzazione della didattica c’è la volontà di “garantire il diritto allo studio e al contempo tutelare la salute di studenti, docenti e personale amministrativo”. “Queste scelte – continua il ministero – vengono adottate sulla base di diversi fattori, che possono essere l’ampiezza degli spazi a disposizione degli atenei o il numero degli studenti che frequentano un determinato corso” e questo può essere gestito solo dagli atenei stessi. Il Mur conclude quindi spiegando che “tutte le scelte finora prese sono state decise sulla base dell’evoluzione della situazione epidemiologica“. Ma è proprio questo uno degli aspetti che vengono contestati dagli studenti: “continuare a inseguire l’epidemia, senza che dopo quasi due anni, “non si sia ancora preparato un piano strategico a medio-lungo termine” per arginare le problematiche e le difficoltà che emergono con le ormai consuete ondate della pandemia. Le decisioni arrivano sempre in ritardo e la loro comunicazione ancora di più, creando situazione di disparità generale.