Si è concluso, fortunatamente, il circo equestre della commemorazione del decennale della Costa Concordia. L’Isola del Giglio è stata nuovamente invasa da soggetti a caccia di una comparsata televisiva e travolta dal solito fiume di retorica che è fluito dai microfoni di pseudo inviate/i di pseudo programmi di informazione.
Bene ha fatto il sindaco a dire “basta”, che era l’ultima volta, e a partire dal prossimo anno al Giglio andranno solo i parenti delle vittime. Era ora si potrebbe dire. La Concordia è stata una delle peggiori pagine non solo della marina mercantile italiana, ma anche del sistema dell’informazione che ha suscitato, come accade per ogni tragedia, il peggio del peggio, in quelle trasmissioni che dal mattino al pomeriggio ci ammorbano con un quantitativo di schifezze che non si riuscirà a smaltire per i prossimi secoli.
In tutto il circo politico e mediatico che ruotava attorno al decennale, un nome sembra essere sfuggito e non solo dalle celebrazioni, ma proprio sfuggito in questi dieci anni. Il nome è quello di Giuseppe Girolamo.
Giuseppe aveva 30 anni e lavorava come batterista nell’orchestrina della nave. Faceva ballare i passeggeri e gli ufficiali mentre si atteggiavano a piacioni con le signore a bordo, primo fra tutti il Capitano Schettino. Era una persona normale: suonava, faceva il suo lavoro, che non era male, e non pensava di certo di trovarsi nel bel mezzo di un naufragio.
Giuseppe quella sera, dopo l’impatto, era riuscito a trovare posto su una delle scialuppe. Sul ponte era rimasta una famiglia, con una bimba di pochi anni. Il giovane batterista non esitò un attimo e lasciò il posto sulla lancia di salvataggio facendo salire la bambina e i genitori.
Giuseppe Girolamo non sapeva nuotare. Morì quella sera.
Un gesto spontaneo, fatto senza starci molto a pensare. Si parla tanto e assai a sproposito di eroismo, ma il significato di questa parola ai più è sconosciuto. Indica chi compie un gesto altamente rischioso per una causa superiore avendo piena consapevolezza del pericolo a cui si espone. Giuseppe sapeva che il rischio di morire, se fosse sceso da quella lancia, per lui era altissimo. Ma è sceso.
Ebbene a questo ragazzo non è stata conferita nessuna medaglia al valor civile. Un’onorificenza non lo avrebbe riportato in vita e neppure annullato la pena dei suoi cari. Ma sarebbe stato preciso dovere dello Stato conferirgliela. Va aggiunto che alla sua memoria non è stata dedicata una strada, un teatro, una scuola. Niente. Semplicemente dimenticato, tranne che per i suoi cari e per gli amici del suo paese.
Giuseppe non aveva bisogno di medaglie, quello che ha fatto non l’ha fatto per sentirsi chiamare “eroe”, ma questo niente ci dalla misura di cosa sia questo Paese. Non di cosa sia diventato, ma di che cosa è sempre stato.