Il mercato europeo dell’auto, che comprende UE, Efta e Regno Unito, continua ad arrancare. I dati diffusi dall’Acea, l’associazione continentale dei costruttori, evidenziano un calo dell’1,5% nelle immatricolazioni nel 2021 (11.774.885) rispetto al 2020 (11.985.116), dopo l’ennesimo crollo di dicembre (22,8%), mese si sono registrate solo 795.295 nuove targhe.
In particolare sono stati i mercati principali a tradire nell’ultimo mese dell’anno, il sesto consecutivo in rosso: Italia (-27,5%), Germania (-26,9%), Spagna (-18,7%) e Francia (-15,1%), ovvero le piazze che da sole valgono oltre i due terzi delle vendite del vecchio continente. Si sono salvati solo mercati minori, come quello bulgaro, estone sloveno e croato.
Spostando l’analisi alla sola Unione Europea, il calo è più evidente: -2,4%, con le vendite che sono finite sotto la soglia (non solo psicologica) dei dieci milioni di vetture, fermandosi a quota 9,7. Nonostante il confronto, ricordiamolo sempre, sia con il 2020, stagione falcidiata da lockdown e stop alla produzione. Il motivo? L’incertezza economica e, soprattutto, la difficoltà nell’approvvigionamento dei microchip.
Quel che deve far rilflettere, nondimeno, è che nel 2021 non c’è stato alcun recupero nei confronti del periodo pre-crisi sanitaria (e non solo). Rispetto al 2019 si sono venduti circa 3,3 milioni di auto in meno: in pratica, ne manca all’appello una su quattro (-25,5%). Particolarmente impietoso il confronto 2021-2019 per i paesi più inportanti: Spagna -31,7%, Regno Unito -28,7%, Germania -27,3%, Francia -25,1% e Italia -23,9%. Con il nostro Paese che ha perso meno rispetto agli altri perché, seppur coi limiti di un’erogazione “a singhiozzo”, il sistema di incentivi messo in piedi ha consentito di limitare i danni meglio che altrove.
Per l’anno appena cominciato, tuttavia, si ripropongono le stesse problematiche, come spiega il presidente del Centro Studi Promotor, Gian Primo Quagliano. Secondo il quale le prospettive per il 2022 sono “decisamente sfavorevoli, perché la pandemia morde più di quello che si pensasse e perché la crisi dei microchip sembra destinata a non trovare soluzioni in tempi brevi”.