Minuto 92 di Milan-Spezia. Sul punteggio di 1-1, l’arbitro Marco Serra fischia precipitosamente un contatto al limite dell’area fra Rebic e Nikolau per assegnare la punizione ai rossoneri, la palla intanto è scivolata verso Messias che col sinistro ha firmato a tempo scaduto il gol di una vittoria pesantissima. Ma non vale: il fischio è arrivato prima, anche il direttore di gara se ne accorge e chiede scusa ma il pasticcio ormai è fatto, non si può tornare indietro. Il Milan non vince, anzi addirittura perde all’ultimo secondo in contropiede. Ma Serra, a suo modo, è un “eroe”: probabilmente ha condizionato il campionato, è vero, ma ha anche dato una lezione a tutto il calcio italiano.
Sull’episodio in sé, non c’è praticamente nulla da dire: un obbrobrio tecnico, dettato dalla fretta, dall’inesperienza o dalla tensione, chissà. Ma non c’è altro da aggiungere: nessuna dietrologia, un semplice sbaglio in buona fede. E questo perché Serra ha commesso un errore abnorme e una piccola rivoluzione: ha mostrato che anche un arbitro può chiedere scusa. E ha dimostrato cosa succede quando lo fa: niente. Nessuna protesta, nessuna polemica. Certo, a fine gara ci sono state le dichiarazioni amareggiate di Pioli e l’ira social dei tifosi, ma una delegazione del club rossonero si è confrontata col direttore di gara accettando le sue scuse, lo ha persino rincuorato. Insomma, solo accettazione dell’errore umano, come spiega la reazione di Rebic, che gli prende la testa fra le mani e gli sorride sconsolato. Perché anche gli arbitri sono uomini e possono sbagliare come tutti, nessuno ha mai preteso il contrario.
È quello che dovrebbe succedere sempre e che invece in Serie A non succede quasi mai. Spiegare pubblicamente le decisioni (come da tempo si propone) ed eventualmente ammettere gli sbagli spazzerebbe via il campo da teorie di complotti e manie di persecuzione, disintossicherebbe il pallone italiano dai suoi veleni. Invece per anni la classe arbitrale, una vera e propria casta, ha fatto tutto ciò che era in suo potere per mettersi su un piedistallo, rimanere intoccabile e insondabile, anche quando aveva palesemente torto. Oggi tutti se la prendono col povero Serra, c’è chi profila un lungo stop per lui, chi addirittura lo vorrebbe bandito per sempre dai campi da gioco. Ma cento volte meglio il suo errore, tanto marchiano quanto genuino, di un arbitro che si rifiuta di andare al Var o che nega l’evidenza davanti al video pur di non smentire se stesso. Una scena a cui in Italia siamo abituati da troppo tempo.
In fondo, lo stesso identico errore lo ha commesso un arbitro ben più importante e celebrato, Daniele Orsato, in un Juve-Roma di inizio stagione, quando ha annullato il gol di Abraham per fischiare un rigore precedente (poi sbagliato da Veretout). Solo che a differenza di Serra, con la tipica sicumera del fischietto italiano lui non ha mai chiesto scusa, anzi ha preteso pure di avere ragione dispensando improbabili lezioni di diritto nell’intervallo. Non ha costretto l’Aia a fare pubblica ammenda e non è stato sospeso. Adesso invece Serra pagherà, per aver sbagliato ma soprattutto per essere stato onesto. Non che vada premiato per il suo errore, ci mancherebbe. L’arbitro Serra va fermato, con la giusta sanzione prevista da questa casistica, nulla di più. Ma soprattutto va preso ad esempio. Perché Milan-Spezia è stata una lezione per la classe arbitrale e per tutto il calcio italiano.