Di doman non c’è certezza. Così la pensava Lorenzo il Magnifico, che compose la Canzona di Bacco in occasione del carnevale del 1490. Sbagliava. Se l’energia atomica e il Ponte sullo Stretto di Messina sono gli archetipi delle nuove tecnologie e della riscoperta dei valori ambientali, agli italiani non mancano le certezze sul futuro: domani reciteranno ancora e sempre la farsa plautina iniziata nel dopoguerra. Una immortale commedia dell’arte con le solite maschere: dal Balanzone scienziato astuto al Brighella servo politico sciocco; e al povero Pantalone, l’utilizzato finale.
Se valutiamo il ciclo di vita del sistema, il costo dell’energia atomica è altissimo. Supera di gran lunga sia quello delle rinnovabili sia ogni produzione tradizionale da fonti fossili. Un po’ come alimentare una caldaia a vapore con il legno di un pregiato Maggiolini. Chi altri ci guadagna, se non l’antiquario che fornisce a caro prezzo quel mobile intarsiato da sventrare, un po’ fuori moda?
Sul Ponte attendiamo il nuovo studio di fattibilità, prossimo al via definitivo da parte del Consiglio dei Ministri. Questo “affare”, creduto sepolto nell’oblio e ricordato solo per la voragine creata nel debito pubblico, appassiona nuovamente chi ci governa. E appassionerà altri potenti, domani e dopodomani. Essere immortali è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, ponti compresi, giacché ignorano la morte.
C’è perfino una straordinaria novità: nel nuovo studio di fattibilità il Ponte sullo Stretto di Messina dovrà essere a più campate, come informa un recente articolo pubblicato dall’autorevole Corriere della Sera pochi giorni fa. Non ci avevano mai pensato, prima? O è piuttosto un ritorno al futuro?
Molti anni fa, Sette (il settimanale del Corriere della Sera) pubblicava alcune perplessità sul Ponte sullo Stretto, a firma Lucio Fulci. Dubbi non inaccessibili anche a chi ha studiato la scienza delle costruzioni su Facebook e si è perfezionato su Twitter, senza trascurare TikTok. Il Fulci, dirigente dell’Ufficio Commerciale italiano a Tokyo, raccontava di avere accompagnato nel 1990 un’autorevole delegazione giapponese, gente che di ponti se ne intende, venuta in Italia per valutare la partecipazione al progetto da parte di aziende nipponiche.
“Le conclusioni (dei giapponesi, ndr) erano che il ponte non era fattibile per diversi motivi. Il principale di questi era che i forti venti, che con molta frequenza agiscono sullo stretto di Messina, avrebbero obbligato a lunghe chiusure del ponte stesso, oltre che a procurare seri danneggiamenti all’opera”.
Invero, non era solo un dubbio con gli occhi a mandorla. Parecchi esperti nostrani ne condividevano da tempo le ragioni, magari sottovoce. Chi osava discutere questa futura gloria italica era etichettato come detrattore delle magnifiche sorti dell’ingegneria nazionale. E girava alla larga.
Nel lontano 1955 uno studio geofisico della Regione Sicilia – commissionato alla Fondazione Lerici del Politecnico di Milano e condotto da Luigi Solaini e Roberto Cassinis assieme al Servizio Geologico d’Italia – aveva sentenziato come la natura delle formazioni geologiche, tanto sulle sponde che sul fondo non fosse il massimo. E neppure il minimo. Le proprietà meccaniche dei sedimenti e della roccia cristallina erano, infatti, molto modeste fino a parecchie centinaia di metri sotto il piano di campagna e sotto il fondo marino. Insomma, un ponte esposto alle tempeste di vento e, per di più, con i piedi malfermi poneva seri problemi di fattibilità.
Perché allora si è proseguito senza remore, costituendo il Gruppo Ponte Messina S.p.A. proprio nel lontano 1955? Lo schiacciasassi di questa idrovora di denaro pubblico rollò per lunghi anni. Nel 1969, un Concorso Internazionale di Idee premiò 6 progetti, nessuno dei quali aveva previsto la campata unica. Nel 1981 fu costituita la Società concessionaria Stretto di Messina S.p.A. che produsse alcune bozze progettuali, nel 1986 e nel 1992, senza presentare un progetto definitivo di campata unica, la sopraggiunta novità.
Mai venne alla luce qualcosa di concreto, ma l’intensa e alacre attività proseguì senza sosta fino al 2009, quando il consorzio Eurolink vinse la gara d’appalto quale contraente generale per la costruzione del ponte a campata unica. Era finalmente iniziata la progettazione definitiva ed esecutiva, che l’anno dopo si affidò all’archistar Libeskind per il progetto delle principali strutture architettoniche connesse all’opera. E fu perfino iniziato qualche lavoretto a terra.
La Stretto di Messina S.p.A. fu messa in liquidazione nel 2012 con la Legge 221/12. Era firmata da Mario Monti, Presidente del Consiglio dei ministri, e da Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo economico. Non esattamente due verdi arcobaleno, né nostalgici di paesaggi bucolici, tanto meno vegani cultori del pistacchio a chilometro zero.
Ciò nonostante, con la pandemia l’araba fenice risorge dalle sue ceneri ancora una volta.
La vicenda del Ponte è una commedia dove generazioni di accademici hanno marciato compatti verso l’abisso di Scilla e Cariddi, senza esalare neppure un sospiro in merito ai dubbi di qualche scomodo disfattista. Generazioni di ingegneri hanno calcolato e ricalcolato travi e pilastri, passando dal regolo e dal tecnigrafo al Computer Aided Design e al Building Information Modeling senza porsi domande scomode. Generazioni di economisti hanno magnificato i benefici del corridoio da Amburgo a Palermo senza investirci un euro in proprio, senza confrontare costi e benefici, senza valutare le alternative capaci di proiettare la Sicilia nel XXI secolo. Non mancheranno – nell’immediato e nel prossimo e lontano futuro – professionisti altrettanto validi nello sposare questa imbarazzante scelta politica, sociale e culturale.
La politica – più tenace e immutabile di ingegneri ed economisti messi assieme – ci ha marciato e, pare, ci marcia ancora. L’Italia ha bisogno di sogni impossibili e sarà sempre incinta di progetti del Ponte sullo Stretto, battezzato Italy’s bridge to nowhere da The Independent. Se la Francia è la bella Marianne, l’Italia è la povera Adelina di Ieri, oggi, domani che, per non essere arrestata, ricorreva a sempre nuove maternità. E nessuno risponderà mai dei danni alla collettività – economici, morali e culturali – di questa brutta ma popolare commedia, le cui repliche surclassano The Rocky Horror Picture Show. In attesa che il videogioco del Ponte sullo Stretto di Messina conquisti i gamer di tutto il mondo
Renzo Rosso
Idraulico insigne
Ambiente & Veleni - 18 Gennaio 2022
Ponte sullo Stretto, un gigante esposto ai venti e dai piedi malfermi. Ma nessuno si fa domande
Di doman non c’è certezza. Così la pensava Lorenzo il Magnifico, che compose la Canzona di Bacco in occasione del carnevale del 1490. Sbagliava. Se l’energia atomica e il Ponte sullo Stretto di Messina sono gli archetipi delle nuove tecnologie e della riscoperta dei valori ambientali, agli italiani non mancano le certezze sul futuro: domani reciteranno ancora e sempre la farsa plautina iniziata nel dopoguerra. Una immortale commedia dell’arte con le solite maschere: dal Balanzone scienziato astuto al Brighella servo politico sciocco; e al povero Pantalone, l’utilizzato finale.
Se valutiamo il ciclo di vita del sistema, il costo dell’energia atomica è altissimo. Supera di gran lunga sia quello delle rinnovabili sia ogni produzione tradizionale da fonti fossili. Un po’ come alimentare una caldaia a vapore con il legno di un pregiato Maggiolini. Chi altri ci guadagna, se non l’antiquario che fornisce a caro prezzo quel mobile intarsiato da sventrare, un po’ fuori moda?
Sul Ponte attendiamo il nuovo studio di fattibilità, prossimo al via definitivo da parte del Consiglio dei Ministri. Questo “affare”, creduto sepolto nell’oblio e ricordato solo per la voragine creata nel debito pubblico, appassiona nuovamente chi ci governa. E appassionerà altri potenti, domani e dopodomani. Essere immortali è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, ponti compresi, giacché ignorano la morte.
C’è perfino una straordinaria novità: nel nuovo studio di fattibilità il Ponte sullo Stretto di Messina dovrà essere a più campate, come informa un recente articolo pubblicato dall’autorevole Corriere della Sera pochi giorni fa. Non ci avevano mai pensato, prima? O è piuttosto un ritorno al futuro?
Molti anni fa, Sette (il settimanale del Corriere della Sera) pubblicava alcune perplessità sul Ponte sullo Stretto, a firma Lucio Fulci. Dubbi non inaccessibili anche a chi ha studiato la scienza delle costruzioni su Facebook e si è perfezionato su Twitter, senza trascurare TikTok. Il Fulci, dirigente dell’Ufficio Commerciale italiano a Tokyo, raccontava di avere accompagnato nel 1990 un’autorevole delegazione giapponese, gente che di ponti se ne intende, venuta in Italia per valutare la partecipazione al progetto da parte di aziende nipponiche.
“Le conclusioni (dei giapponesi, ndr) erano che il ponte non era fattibile per diversi motivi. Il principale di questi era che i forti venti, che con molta frequenza agiscono sullo stretto di Messina, avrebbero obbligato a lunghe chiusure del ponte stesso, oltre che a procurare seri danneggiamenti all’opera”.
Invero, non era solo un dubbio con gli occhi a mandorla. Parecchi esperti nostrani ne condividevano da tempo le ragioni, magari sottovoce. Chi osava discutere questa futura gloria italica era etichettato come detrattore delle magnifiche sorti dell’ingegneria nazionale. E girava alla larga.
Nel lontano 1955 uno studio geofisico della Regione Sicilia – commissionato alla Fondazione Lerici del Politecnico di Milano e condotto da Luigi Solaini e Roberto Cassinis assieme al Servizio Geologico d’Italia – aveva sentenziato come la natura delle formazioni geologiche, tanto sulle sponde che sul fondo non fosse il massimo. E neppure il minimo. Le proprietà meccaniche dei sedimenti e della roccia cristallina erano, infatti, molto modeste fino a parecchie centinaia di metri sotto il piano di campagna e sotto il fondo marino. Insomma, un ponte esposto alle tempeste di vento e, per di più, con i piedi malfermi poneva seri problemi di fattibilità.
Perché allora si è proseguito senza remore, costituendo il Gruppo Ponte Messina S.p.A. proprio nel lontano 1955? Lo schiacciasassi di questa idrovora di denaro pubblico rollò per lunghi anni. Nel 1969, un Concorso Internazionale di Idee premiò 6 progetti, nessuno dei quali aveva previsto la campata unica. Nel 1981 fu costituita la Società concessionaria Stretto di Messina S.p.A. che produsse alcune bozze progettuali, nel 1986 e nel 1992, senza presentare un progetto definitivo di campata unica, la sopraggiunta novità.
Mai venne alla luce qualcosa di concreto, ma l’intensa e alacre attività proseguì senza sosta fino al 2009, quando il consorzio Eurolink vinse la gara d’appalto quale contraente generale per la costruzione del ponte a campata unica. Era finalmente iniziata la progettazione definitiva ed esecutiva, che l’anno dopo si affidò all’archistar Libeskind per il progetto delle principali strutture architettoniche connesse all’opera. E fu perfino iniziato qualche lavoretto a terra.
La Stretto di Messina S.p.A. fu messa in liquidazione nel 2012 con la Legge 221/12. Era firmata da Mario Monti, Presidente del Consiglio dei ministri, e da Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo economico. Non esattamente due verdi arcobaleno, né nostalgici di paesaggi bucolici, tanto meno vegani cultori del pistacchio a chilometro zero.
Ciò nonostante, con la pandemia l’araba fenice risorge dalle sue ceneri ancora una volta.
La vicenda del Ponte è una commedia dove generazioni di accademici hanno marciato compatti verso l’abisso di Scilla e Cariddi, senza esalare neppure un sospiro in merito ai dubbi di qualche scomodo disfattista. Generazioni di ingegneri hanno calcolato e ricalcolato travi e pilastri, passando dal regolo e dal tecnigrafo al Computer Aided Design e al Building Information Modeling senza porsi domande scomode. Generazioni di economisti hanno magnificato i benefici del corridoio da Amburgo a Palermo senza investirci un euro in proprio, senza confrontare costi e benefici, senza valutare le alternative capaci di proiettare la Sicilia nel XXI secolo. Non mancheranno – nell’immediato e nel prossimo e lontano futuro – professionisti altrettanto validi nello sposare questa imbarazzante scelta politica, sociale e culturale.
La politica – più tenace e immutabile di ingegneri ed economisti messi assieme – ci ha marciato e, pare, ci marcia ancora. L’Italia ha bisogno di sogni impossibili e sarà sempre incinta di progetti del Ponte sullo Stretto, battezzato Italy’s bridge to nowhere da The Independent. Se la Francia è la bella Marianne, l’Italia è la povera Adelina di Ieri, oggi, domani che, per non essere arrestata, ricorreva a sempre nuove maternità. E nessuno risponderà mai dei danni alla collettività – economici, morali e culturali – di questa brutta ma popolare commedia, le cui repliche surclassano The Rocky Horror Picture Show. In attesa che il videogioco del Ponte sullo Stretto di Messina conquisti i gamer di tutto il mondo
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Il Papa “ha riposato bene”. “Dimissioni? Sono speculazioni”. Le condizioni mediche: “Non è fuori pericolo, il vero rischio è la sepsi”
Teheran, 22 feb. (Adnkronos/Afp) - Il ministero degli Esteri iraniano ha dichiarato che il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov visiterà Teheran nei prossimi giorni per incontrare il suo omologo iraniano Abbas Araghchi e discutere "degli sviluppi regionali e internazionali". "La visita sarà effettuata nel quadro delle consultazioni in corso tra la Repubblica islamica dell'Iran e la Federazione Russa sulle relazioni bilaterali e sugli sviluppi regionali e internazionali", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Esmaeil Baqaei.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Nessun tumore al cervello e nessuna infezione da polmonite batterica, come erroneamente riportato dalla Direzione sanitaria del Mar Rosso. Mattia è morto per un’emorragia causata da un aneurisma cerebrale e si esclude con certezza la presenza di altre patologie concomitanti. Questo quanto emerge dopo l'esame effettuato dall'Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine". Così l'avvocato Maria Virginia Maccari, che assiste i familiari di Mattia Cossettini, morto a 9 anni mentre si trovava in vacanza a Marsa Alam.
"Mattia era felicissimo della vacanza e fino a quella tragica escursione in barca non aveva manifestato alcun sintomo, nemmeno un raffreddore. Tanti sorrisi fino all’ultimo momento, allegro come tutti lo conoscevano, ma durante l’escursione in barca non c’è stata nessuna possibilità di chiamare o di ricevere i soccorsi. Secondo i genitori vi è stata sicuramente una sottovalutazione del quadro clinico iniziale; c’è poi stato un errore di refertazione da parte dei medici dell’ospedale generale governativo di Marsa Alam, che hanno interpretato la Tc senza intervenire poi su Mattia per l’assenza di attrezzature, tenuto solamente in osservazione mentre i sanitari stimavamo le più svariate patologie, dal diabete alla broncopolmonite, citando addirittura il Covid come causa di un’ossigenazione bassa quando invece Mattia non aveva neanche la tosse", spiega.
"Rimasto invece su una lettiga di ospedale, con il cuscino della camera del resort, mentre i genitori tentavano invano un trasferimento presso un altro ospedale. La famiglia sta ancora approfondendo gli aspetti relativi all’incidenza di una corretta e tempestiva diagnosi, ma quello che emerge è la necessità di sensibilizzare il Governo egiziano per favorire protocolli nella gestione delle emergenze sanitarie nella zona del mar Rosso. Il primo ospedale attrezzato è situato a circa tre ore di auto e - sottolinea - non sono disponibili mezzi di trasporto rapidi per raggiungerlo. Probabilmente sarebbe sufficiente un piccolo contributo economico da parte delle numerosissime strutture alberghiere per garantire un servizio sanitario adeguato, oppure realizzare un eliporto per trasferire i pazienti gravi, raggiungendo un luogo idoneo. Si stima la presenza di circa quindici milioni di italiani in Egitto ogni anno, di cui un terzo circa nella zona del Mar Rosso".
"Nonostante tutte le immersioni subacquee effettuate in zona, anche una 'semplice' embolia polmonare diventerebbe critica a causa dell’assenza nelle vicinanze di una camera iperbarica. In alcune situazioni potrebbe fare la differenza anche la refertazione a distanza, facilmente possibile con l’utilizzo della telemedicina e nel caso di Mattia si sarebbe molto probabilmente evitata l'errata interpretazione delle immagini della Tc, fatto che ha di certo avuto un peso psicologico importante sui genitori. Non è chiaro se il tempo perso, dai primi sintomi interpretati in modo superficiale dai medici, all’incapacità di intervenire in modo attivo presso l’ospedale di Marsa Alam, potessero cambiare l’esito della vicenda. È però evidente come, qualsiasi necessità sanitaria improvvisa, che possa essere clinicamente complessa ma che nel nostro contesto sociale risulti gestibile, le possibilità di sopravvivenza in una zona così turistica e famosa siano sorprendentemente scarse. I genitori di Mattia, Marco e Alessandra, si augurano che la morte di loro figlio possa servire ad avviare questo adeguamento sanitario in Egitto per il bene dí tutti gli altri turisti italiani, non consapevoli della situazione fatiscente che potrebbero scoprire appena varcate le mura dei lussuosi resort", conclude.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.