Il provvedimento italiano che recepisce la legge europea è al centro di un ‘parere circostanziato’ di tre pagine inviate al ministero dello Sviluppo economico poco prima di Natale: la Commissione europea accusa il dl di non essere "in linea con le disposizioni e gli obiettivi della direttiva" e non ravvisa “alcuna base giuridica per l’Italia per introdurre deroghe speciali". Il rischio, come sottolinea Greenpeace, è l'ennesima procedura di infrazione
La resa dei conti sul recepimento della direttiva Sup, quella sulla plastica monouso. L’Italia rischia la procedura d’infrazione, dopo l’entrata in vigore, il 14 gennaio 2022, del decreto legislativo 196, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 30 novembre scorso e che recepisce proprio il provvedimento dell’Unione europea. Perché il testo approvato dal governo a novembre scorso, secondo quanto ha scritto la Commissione in tre pagine di ‘parere circostanziato’ inviate al ministero dello Sviluppo economico poco prima di Natale, non è “in linea con le disposizioni e gli obiettivi della direttiva”. E arriva a violarla, perché esclude una serie di prodotti dai divieti imposti nella Sup. Lo schema di decreto legislativo era stato notificato il 22 settembre 2021 alla Commissione, che ha inoltrato le sue osservazioni a dicembre. Dopo la bocciatura, però, quel decreto è comunque entrato in vigore senza alcun intervento nella direzione suggerita da Bruxelles. Come ricorda nel documento il commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton, il parere circostanziato obbliga lo Stato membro a rinviare di sei mesi l’adozione a decorrere dalla data di notifica. Dunque ora c’è tempo fino al 23 marzo 2022: se il governo non lo adotta o lo fa non tenendo conto delle obiezioni di Bruxelles, l’Italia rischia una procedura di infrazione. Tutto questo per un testo arrivato già in ritardo e senza riuscire comunque a rispecchiare misure e obiettivi di una direttiva del 2019, né a mettere in pratica le osservazioni della Commissione.
Greenpeace: “Si rischia una procedura di infrazione” – Come aveva preannunciato mesi fa Greenpeace. Stavolta a confermarlo è la stessa Commissione Ue. “Non bastava l’ennesimo regalo con il rinvio della plastic tax – spiega a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace – ma, come conferma l’Ue, con le deroghe e le esenzioni introdotte nel recepimento della direttiva europea sulle plastiche monouso si rischia un doppio danno. Da un lato ci si ostina ad ancorare il sistema industriale a logiche figlie del passato, rendendolo poco competitivo e dall’altro rischiando una procedura di infrazione con un notevole esborso di risorse pubbliche”.
Il nodo dei rivestimenti in plastica – Il primo problema sottolineato dalla Commissione è quello riscontrato nell’articolo 3 dello schema di decreto legislativo, nel quale si definisce come ‘plastica’ il materiale “costituito da un polimero, cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze e che può funzionare come componente strutturale principale dei prodotti finiti, a eccezione dei polimeri naturali, che non sono stati modificati chimicamente”. Sono esclusi dalla definizione vernici, inchiostri, adesivi “nonché rivestimenti in plastica con un peso inferiore al 10% rispetto al peso totale del prodotto, che non costituiscono componente strutturale principale dei prodotti finiti”. Ed è questa una prima differenza con la direttiva Sup e con le relative definizioni di ‘plastica’ e di ‘prodotto di plastica monouso’. L’Unione europea, infatti, non prevede alcuna soglia per la quantità di plastica da includere nel prodotto affinché possa essere considerato un prodotto di plastica monouso. Quindi non salva i rivestimenti in plastica, come invece fa l’Italia. “Non vi sono altri elementi nella direttiva, né nella storia legislativa – scrive il commissario Breton – che indichino che tali definizioni dovrebbero essere interpretate in modo tale da richiedere una percentuale minima di contenuto di plastica per costituite un prodotto di plastica monouso”. La commissione, quindi, ritiene che l’articolo 3 del decreto violi l’articolo 2 della direttiva Sup e che ciò possa incidere sul mercato interno, “escludendo dal campo di applicazione delle norme determinati prodotti che sarebbero inclusi in tale ambito senza la soglia quantitativa”.
Bocciata l’esenzione di alcuni prodotti biodegradabili e compostabili – Il decreto, inoltre, vietando l’immissione sul mercato dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato (bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande e altro ancora) e dei prodotti di plastica oxo-degradabile, prevede poi (ed è questa il secondo punto contestato da Bruxelles) un elenco di eccezioni. Le esenzioni riguardano alcuni prodotti biodegradabili e compostabili per i quali la materia prima rinnovabile raggiunge una certa percentuale. Si parla del 40% per i primi due anni e del 60% dal 2024. Eppure, scrive la Commissione, “la direttiva Sup non prevede alcuna eccezione per la plastica biodegradabile”. Al contrario, specifica il commissario Breton “quanto indicato nel considerando 11 prevede esplicitamente che la definizione di ‘plastica’ contenuta della direttiva dovrebbe comprendere la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo”. Concetto chiaro: la plastica biodegradabile è considerata come qualsiasi altra plastica e le eccezioni che consentono l’immissione sul mercato di prodotti di plastica biodegradabili e compostabili monouso violano l’articolo 5 della direttiva Sup.
Bruxelles contro il finanziamento alle alternative dannose – Ma il decreto italiano non si limita a tollerare alcuni prodotti vietati, invece, dall’Unione europea. Il testo, infatti, prevede la concessione di un credito d’imposta a tutte le imprese che acquistano e utilizzano determinati prodotti “riutilizzabili e realizzati in materiale biodegradabile e compostabile, al fine di promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso”. L’imposto di tale contributo è fissato con un massimale pari al 20% delle spese sostenute e l’importo annuo massimo può essere di 10mila all’anno per ciascun beneficiario. Per la Commissione, però, non è questa la strada giusta, perché viene ritenuta contraria all’articolo 4 della direttiva e ai suoi obiettivi “la misura che, invece di prevenire, promuove finanziariamente l’uso di un determinato prodotto di plastica monouso, sia esso biodegradabile (considerato comunque plastica nella direttiva Sup) e non il riutilizzo, il riciclaggio o il recupero.
Il parere: “Le spiegazioni non cambiano la valutazione” – Né hanno modificato tale valutazione le spiegazioni fornite dalle autorità italiane in risposta alla richiesta di informazioni supplementari della Commissione del 14 ottobre 2021, dunque quasi un mese dopo l’invio dello schema di decreto legislativo. La richiesta riguardava soprattutto il regime specifico introdotto per i prodotti di plastica biodegradabili e compostabili. “Per questi prodotti – si legge nel parere circostanziato – i colegislatori hanno deciso che esistono già alternative non plastiche disponibili”, mentre la Commissione non ravvisa “alcuna base giuridica per l’Italia per introdurre deroghe speciali”.