Un uomo solo al comando che avrebbe fatto tutto da solo: mandato in dissesto Veneto Banca e sul lastrico decine di migliaia di risparmiatori. Così è stato dipinto Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato dell’istituto di Montebelluna, nella requisitoria durata cinque ore dei pm di Treviso Massimo De Bortoli e Gabriella Cama, che hanno chiesto per lui sei anni di reclusione per i reati di ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Una terza accusa, quella di aggiotaggio, è andata in prescrizione alla fine del 2021. Ma lo stesso destino potrebbe aspettare anche i reati rimasti in piedi, visto il tempo trascorso (la liquidazione coatta risale al 2017), in un processo laborioso e affrontato con poche forze dai magistrati inquirenti.
L’accusa ha ritenuto che le circostanze aggravanti debbano prevalere sulle attenuanti, visto che la collaborazione all’accertamento della verità da parte dell’imputato è stata giudicata insufficiente. Il crac di Veneto Banca – assieme a quello della Banca Popolare di Vicenza, anch’essa acquisita da Intesa San Paolo – ha inferto un grave colpo ai piccoli risparmiatori che ritenevano di aver affidato i loro soldi a una cassaforte sicura. Invece, quando è emerso il sistema per tenere alto il valore delle azioni, ha cominciato a franare tutto. Il sistema delle azioni “baciate”, ossia acquistate da clienti con finanziamenti concessi dallo stesso istituto di credito, aveva consentito di tenere il bilancio a livelli di eccellenza. In quel modo i titoli erano stati sopravvalutati. All’improvviso gli azionisti si sono trovai in mano praticamente della carta straccia.
Il processo è stato rallentato perché inizialmente venne trasferito a Roma per competenza, salvo poi ritornare a Treviso. Qualche mese fa il pm De Bortoli aveva detto: “La prescrizione del reato di aggiotaggio è il fallimento dello Stato. Se io, per più di un anno, non avessi dovuto fare il procuratore facente funzioni, si poteva fare prima. Se avessimo avuto più personale amministrativo, più magistrati, si poteva fare prima. Ma se mancano le risorse è evidente che questi sono i tempi. Poi c’è stato il disguido del processo andato e tornato da Roma. È un fallimento dello Stato”. La sentenza è attesa per il 4 febbraio.