Un'opera estremamente intima, raccontata da un punto di vista inedito, dove l'autrice mette a nudo se stessa, le proprie aspirazioni, le difficoltà, anche coniugali, di una vita passata con un uomo continuamente in viaggio anche quando si trova a casa. E che al suo ritorno porta nella sua casa gli spettri dei conflitti di tutto il mondo
Quello del reporter di guerra non può essere considerato semplicemente un lavoro, ma trova la sua reale dimensione nella sfera delle vocazioni. Partire per raggiungere i posti più martoriati del pianeta, raccontare le storie degli ultimi, degli affamati, dei perseguitati. Assistere a genocidi, trovarsi di fronte a una fossa comune, parlare con criminali di guerra mettendo a rischio la propria vita è una scelta soprattutto di vita, di difficile comprensione anche agli occhi degli stessi colleghi giornalisti. Le difficoltà e le paure di camminare sull’orlo del precipizio portando sulle spalle il peso delle storie scovate e delle loro sofferenze sono state raccontate in numerose opere di grandi inviati. Ma quasi mai si parla di chi porta sulle spalle queste sofferenze riflesse, alle quali si aggiungono la preoccupazione per l’incolumità del proprio compagno o compagna e quel silenzio corrosivo, a volte lungo giorni o settimane, in attesa di una chiamata: chi vive con un inviato di guerra.
È da questo punto di vista privilegiato e originale che si sviluppa L’amore di pietra: una vita con un corrispondente di guerra (Keller, 2021), scritto da Grażyna Jagielska, moglie di uno dei più famosi e importanti reporter di guerra polacchi, Wojciech Jagielski. Un’opera estremamente intima, dove Jagielska mette a nudo se stessa, le proprie aspirazioni, le difficoltà, anche coniugali, di una vita passata con un uomo continuamente in viaggio, anche quando si trova a casa. E soprattutto la pesantezza di quelle storie, tanto insopportabili da costringere Wojciech a doverle raccontare al suo ritorno, scaricando parte di quella sofferenza sulla sua partner e facendo diventare quelle facce parte della famiglia, tanto da portare Grażyna a sognarle la notte, a vederle girare per casa.
Un peso, quello della storia e delle sue sofferenze, che le causa pesanti problemi psichici, costringendola al ricovero in una struttura psichiatrica a causa di un disturbo da stress post-traumatico. Un disturbo tipico dei reduci di guerra che solitamente nasce dopo essere stato spettatore di un evento estremamente scioccante, ma che lei ha sviluppato di riflesso, mentre a salvare suo marito Wojciech è stata forse proprio quella vocazione, quella necessità di trovarsi al centro della storia che lei, invece, non ha.
Questo diario ricco di flashback parte proprio da una panchina di quella clinica, dove Grażyna racconta la vita al fianco del marito a Lucjan, un altro ospite della casa di cura. Da qui la donna prende consapevolezza, almeno in parte, della propria sofferenza e del suo percorso, in un continuo ricordo degli anni passati al fianco del marito, tra un amore continuamente messo alla prova dalla distanza e dalla paura e gli spettri della guerra che entrano nella sua casa ogni volta che Wojciech torna da uno dei suoi viaggi.