Nell'incontro di oggi a Ginevra tra il segretario di Stato Antony Blinken e il suo omologo russo, gli Usa e gli altri alleati occidentali hanno chiesto a Mosca di ritirare le truppe schierate sul confine, mentre la Russia chiede alcune garanzie di sicurezza e di fermare l’espansione ad est dell'Alleanza, opponendosi a un’ulteriore assistenza militare americana all’Ucraina
La prossima settimana si capirà se la crisi militare al confine tra Russia e Ucraina sarà destinata a rientrare o se si concretizzerà ancora di più il rischio di una nuova invasione, dopo quella del 2014, delle truppe di Mosca. A partire da lunedì è infatti attesa una comunicazione scritta da Washington nella quale si darà risposta alle richieste avanzate dalla Federazione russa per arrivare a una de-escalation. Richieste arrivate in via ufficiale anche nel corso dell’ultimo incontro di oggi a Ginevra tra il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e il suo omologo Sergei Lavrov: “Vorrei ripetere ancora una volta alla fine dell’incontro che abbiamo concordato che la settimana prossima gli Stati Uniti presenteranno risposte scritte a tutte le nostre proposte”, ha infatti dichiarato il ministro degli esteri russo. Da parte di Vladimir Putin, ha poi precisato, siamo “d’accordo sul fatto che un dialogo ragionevole sia necessario” affinché si “calmi la tensione” attorno all’Ucraina e che quelli di Ginevra “non sono la fine del nostro dialogo”. Vladimir Putin è “sempre pronto” a contatti con Joe Biden.
La tensione però rimane alle stelle tra Stati Uniti e Russia, tanto che, secondo quanto riporta Bloomberg che cita fonti dell’amministrazione Usa, Washington sta pensando di evacuare i membri delle famiglie del personale diplomatico in Ucraina, una decisione che testimonia la preoccupazione per il dispiegamento ai confini di oltre 100mila soldati russi. Il piano prevede anche che lo staff non essenziale delle sedi diplomatiche possa lasciare il Paese volontariamente.
La principale richiesta della Russia riguarda il ritiro delle truppe straniere della Nato dalla Romania e dalla Bulgaria, Paesi membri dell’Alleanza atlantica, nell’ambito di un trattato per la de-escalation della crisi ucraina. “Non c’è ambiguità – scrive il ministero degli Esteri russo in risposta a una domanda scritta – Si tratta del ritiro delle forze straniere, degli equipaggiamenti e degli armamenti, al fine di tornare alla situazione del 1997 in quei Paesi che all’epoca non erano membri della Nato. È il caso della Romania e della Bulgaria”. La Russia, dal canto suo, non si oppone “alla partecipazione di Washington al processo di regolazione pacifica” in Ucraina – ha detto ancora Lavrov -, ma “con la comprensione che questa partecipazione apporterà un valore aggiunto positivo prima di tutto sul piano dell’incoraggiamento a Kiev ad attuare in pieno i propri impegni nell’ambito degli accordi di Minsk, inclusa la concessione al Donbass di uno status speciale“. E Lavrov ha poi inviato un chiaro messaggio al suo omologo: “Neanche noi ci aspettiamo una svolta da questo incontro ma ci aspettiamo risposte alle nostre proposte”. Dall’Alleanza Atlantica fanno però sapere che la richiesta russa riguardo alle truppe di stanza in Romania e Bulgaria non è accettabile: “La Nato non rinuncerà alla nostra capacità di proteggerci e difenderci a vicenda, anche con la presenza di truppe nella parte orientale dell’Alleanza. Le richieste della Russia creerebbero membri della Nato di prima e seconda classe, che non possiamo accettare”, ha detto la portavoce Oana Lungescu.
Non solo: da Mosca vengono criticate le dichiarazioni del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sulla possibilità di un’adesione di Finlandia e Svezia all’Alleanza, accusandolo di “esercitare pressioni” su di loro. “Siamo convinti che in questo momento turbolento, uno status alieno al blocco è molto più efficace per garantire la sicurezza di uno Stato”, ha chiosato Lavrov ribadendo la richiesta della “fine dell’espansione della Nato e del dispiegamento di sistemi di armamenti ai confini con la Russia”. Nel mentre, l’Ucraina ha accusato la Russia di aver aumentato le forniture di armi ed equipaggiamenti militari ai separatisti filorussi. La Russia “continua a rafforzare le capacità di combattimento” dei separatisti in Ucraina orientale e dall’inizio del mese avrebbe fornito “diversi carri armati”, sistemi di artiglieria e munizioni, affermano in un comunicato i servizi di informazione militare ucraini.
Insomma, la crisi è sempre più profonda e i colloqui condotti finora non hanno portato a passi avanti: l’appuntamento tra i due capi delle diplomazie americana e russa arriva infatti dopo che Blinken è stato nei giorni scorsi prima a Kiev e poi a Berlino per una nuova missione con cui gli Stati Uniti cercano di trovare una soluzione diplomatica alla crisi ucraina. Gli Usa e gli altri alleati occidentali stanno chiedendo a Mosca di ritirare le truppe schierate sul confine, mentre la Russia chiede alcune garanzie di sicurezza e di fermare l’espansione a est della Nato, opponendosi ad un’ulteriore assistenza militare americana all’Ucraina. “Tutto quello che stiamo facendo è assicurarci al meglio delle nostre capacità che l’Ucraina abbia i mezzi per difendersi e possa forse scongiurare un’ulteriore aggressione russa”, ha detto Blinken durante i suoi colloqui di giovedì a Berlino. E ha poi ribadito il concetto già espresso ieri: “Gli Stati Uniti stanno ancora cercando una soluzione diplomatica, assicurando tuttavia una risposta rapida e forte nel caso di un’invasione da parte di Mosca”.
E quella di ieri è stata una giornata di scontro tra Washington e Mosca: sono arrivate critiche al presidente degli Stati Uniti Joe Biden per aver affermato che un “disastro” attendeva la Russia se avesse attaccato l’Ucraina. Dichiarazioni del genere, ha affermato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, “possono facilitare la destabilizzazione della situazione perché possono ispirare false speranze ad alcune teste calde in Ucraina”. Allo stesso tempo, Peskov non ha escluso nuovi colloqui sulla sicurezza tra il presidente russo Vladimir Putin e Biden. Dopo quasi 24 ore di incertezza tra gli alleati, e soprattutto a Kiev, il presidente Joe Biden ha cercato di fugare i dubbi sulla determinazione di Washington e la compattezza del campo occidentale davanti a un’eventuale mossa avventuristica di Mosca. Non a caso, alla vigilia dell’incontro di Ginevra, Mosca ha mescolato segnali concilianti ad altri più duri.
Biden ha dovuto assicurare di essere stato “assolutamente chiaro” con Vladimir Putin circa le conseguenze di un attacco russo in Ucraina. Questo dopo che nella conferenza stampa maratona per il suo primo anno alla Casa Bianca, aveva parlato di una possibile incursione “minore” da parte delle truppe russe, facendo capire che in tal caso la reazione avrebbe potuto essere anch’essa limitata. E, quel che è peggio, ammettendo l’esistenza di “differenze” all’interno del fronte occidentale sulle iniziative da intraprendere in quel caso.
Per tutta la giornata è stata una rincorsa delle diplomazie europee e di quella americana per cercare di rimediare all’apparente gaffe e convincere il mondo intero – in primo luogo i russi – che l’Occidente è incrollabilmente unito in questo braccio di ferro dal sapore di Guerra fredda. Gli occidentali “parlano con una sola voce quando si tratta di Russia”, ha affermato Blinken da Berlino, dove è arrivato dopo una sosta proprio a Kiev per consultazioni con i principali alleati europei. Immediatamente gli ha fatto eco il premier britannico Boris Johnson, per sottolineare che se la Russia compisse un’incursione in Ucraina, “di qualunque portata”, ciò si tradurrebbe in “un disastro per il mondo”. Tanto che, secondo quanto rivela il Times, il Regno Unito potrebbe mandare centinaia di truppe da combattimento nei Paesi Nato confinanti con l’Ucraina per rafforzare la loro sicurezza di fronte alla minaccia di un’invasione della Russia.
Non pienamente rassicurato, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha fatto sentire chiaramente la sua protesta, affermando che “non ci sono piccole incursioni e piccole nazioni”. E a questo punto Biden è dovuto intervenire personalmente per correggere il tiro. Ai navigati negoziatori russi non può tuttavia sfuggire che le parole dell’inquilino della Casa Bianca sembrano confermare le crepe che si intravedono nel fronte occidentale dietro alla compattezza di cui parlano le dichiarazioni ufficiali.
Con i tempi del braccio di ferro che si allungano, Mosca aspetta di vedere se gli interessi divergenti tra gli avversari sortiranno le divisioni auspicate. Qualche segnale sembra già prendere corpo. Mentre Lettonia, Lituania ed Estonia hanno acconsentito ad inviare all’Ucraina armi avanzate acquistate dagli Usa, la Germania, sottolineano media locali, ha declinato la richiesta di Kiev di fornirle unità navali per rafforzare le difese delle coste del Mar Nero. E secondo il Wall Street Journal nei giorni scorsi gli Usa sarebbero stati costretti a inviare a Berlino il capo della Cia, Bill Burns, per convincere i Paesi europei ad unirsi a Washington nella risposta a Mosca in caso di invasione, nonostante i forti legami economici di molti di loro – primi fra tutti appunto la Germania – con la Russia.
Intanto Washington ha imposto sanzioni contro quattro ucraini accusati di lavorare con i servizi segreti russi (Fsb). Tra loro due deputati in carica, Taras Kozak e Oleg Volochi, finiti nella blacklist per le loro “attività destabilizzanti”. In particolare sono accusati di essere stati incaricati dall’Fsb di “reclutare ex ed attuali dirigenti governativi per prepararsi a prendere il controllo del governo ucraino e a controllare le infrastrutture del Paese con una forza di occupazione russa”, secondo il Tesoro Usa.