Nei primi anni del Dopoguerra i prefetti di molte delle maggiori città italiane non erano prefetti ”di carriera” – cioè provenienti dai ranghi del Ministero degli Interni – ma provenivano in gran parte dalle fila della Resistenza ed erano destinati a svolgere quel ruolo per un periodo di tempo limitato: fino a quando fosse completata l’epurazione dei prefetti fascisti e garantita la stabilità del Paese. A Milano il primo prefetto del dopoguerra fu Riccardo Lombardi, che però dovette lasciare nel gennaio del 1946 perché chiamato a far parte del primo governo De Gasperi come ministro dei Trasporti.

Al posto di Lombardi fu chiamato mio padre, comandante della Brigata Maiella, che per i casi della vita aveva vissuto per un paio di anni a Milano, dopo aver partecipato come volontario, a 18 anni, alla prima guerra mondiale. E a Milano era stato fra i discepoli di Filippo Turati, prima di laurearsi in Legge e di trasferirsi a Roma per avvicinarsi al suo paese natale, in Abruzzo, e di entrare a far parte del gruppo di giovani che si riunivano attorno a Giacomo Matteotti.

Fra gli amici più cari, mio padre ebbe il sindaco Antonio Greppi (suo il libro Risorgeva Milano, editore Ceschina), anche lui socialista. Ma ebbe modo di conoscere e frequentare anche Aldo Aniasi, futuro successore di Greppi a Palazzo Marino. Non a caso, fu proprio Aniasi, come sindaco, che volle dedicare una riunione del Consiglio Comunale ad un ricordo di mio padre, morto nel giugno del 1974. E ad Aniasi mi rivolsi – in un cordialissimo (e per me indimenticabile) incontro a Milano – per chiedergli di scrivere l’introduzione al mio libro La guerra di Troilo, in cui ho narrato le vicende che portarono alla cacciata di mio padre dalla Prefettura nel novembre del 1947. Aniasi fu molto disponibile e fece appena in tempo a scrivere l’introduzione ed a farmela avere, perché morì poche settimane prima della pubblicazione del libro.

E fui molto felice – quando conobbi Mario Artali e concordai con lui la presentazione del libro nella sede del Circolo De Amicis – di apprendere che il circolo era stato “una creatura” di Aniasi, purtroppo venuto a mancare poche settimane prima. E ancora oggi resta, soprattutto grazie all’impegno di Artali, uno dei luoghi simbolo della cultura socialista, di cui tiene in vita, con le sue tante iniziative, il ricordo ed i valori.

Con Aniasi la mia famiglia ha un altro debito, perché egli – divenuto sindaco – dedicò una seduta del Consiglio Comunale a mio padre, presente in Aula. E per lui questo evento fu una grande consolazione subito prima della malattia che lo condusse alla morte nel 1974 (mentre fu Tognoli il sindaco che volle intestare a mio padre una via nella zona dei Navigli).

La vita di Aniasi – raccontata nel libro Aldo Aniasi, la tela del riformista – è la storia di uno dei sindaci socialisti che fecero grande Milano, consentendole in pochi anni di risorgere dalle rovine della guerra e dei bombardamenti e facendone la capitale economica, ma per molti aspetti anche morale e sociale, del nostro Paese: una città che fra i suoi meriti ha quello importantissimo di aver saputo accogliere e integrare le centinaia di migliaia di immigrati meridionali, che contribuirono in modo determinante alla rinascita della capitale lombarda (questo straordinario fenomeno di melting pot non ha ancora avuto il riconoscimento dovuto, nemmeno in un capitolo dei tanti libri sulla rinascita di Milano, nda).

Aniasi partecipò attivamente alla Resistenza fin dai giorni successivi all’8 settembre, dando vita – fra l’altro – alla II Divisione Garibaldi, di cui divenne il comandante con il nome di battaglia “Iso Danali”, anagramma del suo nome. E amici e compagni continuarono sempre a chiamarlo “Iso”, in ricordo delle sue imprese partigiane.

Come dirigente socialista, Aniasi fu – come lo definisce nella introduzione al libro Jacopo Perazzoli – “un massimalista delle riforme”, con un particolare impegno sui problemi del sistema sanitario, all’epoca molto arretrato. Non a caso Aniasi, nella sua esperienza di governo nazionale, fu il ministro della Sanità che portò alla istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Ma altrettanto impegno fu dedicato da “Iso” ai tanti problemi che affliggevano la sua città, come tutto il Paese. Chi, come me, ha vissuto a Milano negli anni del dopoguerra ricorda ancora le condizioni tremende in cui gli spietati bombardamenti avevano lasciato la città.

Tra i punti essenziali della attività di Aniasi spiccano le questioni riconducibili alla variegata sfera del welfare, dalla risoluzione dell’annoso problema della emergenza abitativa all’ampliamento dell’assistenza sociale, dal supporto fattivo per il diritto allo studio fino alla introduzione del Servizio Sanitario Nazionale, che resta (malgrado alcuni limiti) una delle riforme più importanti in un Paese in cui ancora si moriva per l’insufficienza delle cure. E non a caso Aniasi – in poco più di un anno al Ministero della Sanità – si battè con forza sulla realizzazione del Piano Sanitario Nazionale, che fu approvato grazie alla sua insistenza, anche se divenne realtà solo diversi anni dopo la morte di Iso.

In conclusione, vorrei ricordare che i grandi sindaci cui si devono prima la ricostruzione di Milano e poi il suo ruolo di capofila dello sviluppo economico e sociale del Paese furono tre integerrimi socialisti (Greppi, Aniasi e Tognoli) ai quali va la nostra gratitudine.

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