“Confido che al più presto possano arrivare alle Camere gli emendamenti per quella che il presidente della Repubblica ha definito una ineludibile riforma, cioè quella che riguarda l’ordinamento giudiziario del Consiglio superiore della magistratura. Quegli emendamenti saranno messi a punto secondo il metodo che il ministero ha sempre utilizzato e cioè l’ascolto di suggerimenti, di critiche soprattutto se sono critiche propositive e non meramente demolitorie. Ma anche con grande determinazione perché, è sotto gli occhi di tutti, lo status quo non ha dato buona prova di sé”. Lo ha detto il ministro della giustizia Marta Cartabia a Reggio Calabria dove ha presenziato alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Le sue parole sono state, in un certo senso, la risposta all’intervento del componente del Csm Sebastiano Ardita che, poco prima del Guardasigilli, con la sua relazione, si era soffermato sulla legge di riforma del Consiglio superiore della magistratura. “È in realtà una complessa e pericolosa sfida per governo e Parlamento – sono state le parole di Ardita – L’adozione di un sistema maggioritario uninominale o binominale con collegi medio-piccoli porterebbe bipolarismo, conflittualità e ad un governo politico della giustizia, con maggioranza e opposizione, a discapito della serena obiettività con cui dovrebbero essere governate le carriere dei magistrati”.

L’analisi del componente del Consiglio superiore della magistratura è chiara. Per Sebastiano Ardita, infatti, si dovrebbe “scongiurare il rischio che questo Parlamento, pur mosso dalle migliori intenzioni, finisca per varare una legge che consegni mani e piedi la vita professionale dei magistrati al sistema di potere delle correnti, esasperata da una logica di conflitto politico bipolare”. In questo modo, secondo Ardita si finirebbe “per ledere l’indipendenza dei magistrati, che si vorrebbe tenere al riparo al controllo della politica, ma che di fatto verrebbero soggiogati da un sistema di potere interno ancor meno trasparente e chiaro nei sui obiettivi e nelle sue dinamiche”. Il consigliere del Csm ha anche commentato la nuova direttiva sulla cosiddetta presunzione d’innocenza: “C’è bisogno di garantismo, ma deve essere un garantismo che parta dal basso, che riguardi i più deboli, che non si presti ad essere utilizzato da chi comanda nella dimensione del crimine mafioso, della grande finanza, o delle responsabilità pubbliche ed istituzionali”.

Ritornando all’intervento del ministro Cartabia, il Guardasigilli ha rivendicato quelle che definisce “riforme di sistema” che servono “a far fronte ai cronici problemi richiamati tante volte: durata dei processi e il fardello dell’arretrato, prima di tutto. Mali divenuti nel tempo, insieme ai gravi fatti degli ultimi anni, causa di una progressiva e dannosa erosione di fiducia da parte di cittadini, operatori economici e osservatori internazionali”. “Abbiamo davanti a noi una grande occasione di rinnovamento, favorita proprio dalla crisi aperta dalla pandemia e dagli aiuti europei del Piano di ripresa e resilienza. – ha aggiunto Cartabia – Il ruolo del ministero in questo contesto è essenzialmente quello di assicurare più risorse e più strumenti a tutti gli uffici giudiziari perché possano svolgere al meglio la loro altissima funzione: personale, a partire dai magistrati e dal personale amministrativo, risorse per l’edilizia, per la digitalizzazione. Il miglioramento dei servizi relativi alla giustizia contribuirà a favorire l’inizio di una nuova stagione di fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Questo sarà anche il modo più autentico per onorare la memoria di tutti i servitori dello Stato uccisi dalle mafie. Come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che ricorderemo nel trentesimo anniversario dalle stragi. Come il giudice Antonino Scopelliti a cui so che c’è intenzione di dedicare il Palazzo di Giustizia che verrà completato grazie a un protocollo che in questa mattinata firmerò con il Comune”.

Nel corso della cerimonia, il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria Luciano Gerardis ha ringraziato il ministro della Giustizia per la sua presenza in riva allo Stretto: “È, innanzitutto, un segnale di sensibilità e di grande attenzione per le problematiche del territorio reggino”. Al centro dell’inaugurazione, come per gli altri anni giudiziari, c’è stato il tema della carenza di magistrati: “Una scopertura cronica della pianta organica – ha rilevato Gerardis – che riguarda soprattutto il Distretto reggino. Sarà necessario coprire al più presto i posti vacanti, che continuano a rappresentare la vera palla al piede per ogni tentativo di miglioramento dell’efficienza della risposta giudiziaria”. Basta pensare, per esempio, che in Corte d’Appello su 32 giudici previsti in pianta organica ce ne sono solamente 15 sulle cui spalle pendono “ben 167 procedimenti di competenza della Dda, con 924 imputati, di cui 368 detenuti”. “I procedimenti di competenza della Direzione distrettuale antimafia pendenti negli uffici giudicanti del Distretto sono ben 306. – aggiunge Gerardis – E questo, di fronte all’inadeguatezza delle risorse, finisce per condizionare fortemente la giurisdizione. Malgrado Reggio Calabria sia la capitale storica della ‘ndrangheta, gli organici dei magistrati continuano a rimanere desolatamente scoperti”.

Il procuratore generale Gerardo Dominijanni, nel suo intervento, si è soffermato sul contrasto alla criminalità organizzata: “Dobbiamo prendere atto – ha affermato – che la ndrangheta ha infettato la società e finanche le istituzioni. Se prima infatti avevamo soggetti ben definiti collocati stabilmente nell’ambito criminale, ora la tendenza è quella della cosiddetta ‘zona grigia’, professionisti, politici, amministratori pubblici che utilizzano quei circuiti”. Gli ha fatto eco il procuratore capo Giovanni Bombardieri che non è intervenuto durante la cerimonia ma nella sua relazione scrive che “La ‘ndrangheta non è soltanto una organizzazione criminale di tipo mafioso ma è un ramificato sistema di potere”. Secondo Bombardieri, “Il problema della ‘ndrangheta e della illegalità diffusa nei nostri territori non è solo un problema giudiziario. È un problema culturale, sociale ed economico, con la ineludibile necessità di massicci investimenti nella economia legale che diano strutture, lavoro e risorse indispensabili per offrire una reale possibilità di riscatto a questa terra. La capacità della ndrangheta di diventare soggetto incluso ed inclusivo nella classe dirigente reggina, fa parte della sua storica tendenza ad individuare piani e spazi di interlocuzione con le istituzioni ed i principali soggetti economici e sociali della città”.

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