In attesa di sapere se la palla di lardo del mio ultimo post era trasparente, una considerazione questo avvicinamento al Colle la chiama. Il tragico fallimento formativo della Seconda Repubblica.

Mentre Sergio Mattarella tenta disperatamente di uscire di scena, gli manca solo la fuga in stile Habemus Papam, questi trent’anni non hanno espresso un solo politico degno di essere inserito in una rosa di candidabili. Tranne, ovviamente, lui, Berlusconi, eponimo di questa caduta avvilente, autobiografia photoshoppata di una nazione, uscita dall’analfabetismo con Non è mai troppo tardi, ritornataci sotto l’egida del Biscione.

Nemmeno le riserve della Repubblica, gli ex presidenti delle Camere, riescono ad affacciarsi alla ribalta delle eliminatorie. Né quelli di destra, né quelli di sinistra, fatta eccezione per il buon Casini, in Parlamento dai tempi di Cavour.

La cronaca, talvolta la salute, ma soprattutto quel bipolarismo reciprocamente delegittimante che ha caratterizzato il trentennio non ci hanno lasciato figure di garanzia. L’unico cui si riesce a pensare è Draghi. In versione Fregoli, con il cambio della giacca fulminante, da presidente del Consiglio a Capo dello Stato, dimissioni date da se stesso a se stesso. Con il paradosso ulteriore della garanzia, rivolta a chi? Ai partiti che ne progettano il trasloco, illudendosi di riprendere così un po’ di autonomia? A quelli che lo preferirebbero a Chigi ancora per un anno a garanzia del Pnrr? Ai mercati in trepida attesa, quelli evocati con tanta innovazione istituzionale da Mattarella all’epoca della bocciatura di Savona?

La sensazione mia è che di quest’ultima si tratti. Ben lungi da segnare il ritorno della politica, siamo all’apoteosi del tecnicismo. Almeno Ciampi, sia pure tenendosi sempre scrupolosamente lontano da ogni legittimazione popolare, era stato ministro di un governo orgogliosamente politico, il Prodi uno, e costretto a confrontarsi con un Berlusconi all’apice del suo appeal elettorale. Qui Draghi avrebbe di fronte una sfilza di numeri due, con un disincanto che ha spinto la partecipazione al voto a livelli condominiali.

Per questo gli scrutini dei prossimi giorni possono segnare una nuova, non dichiarata, rottura istituzionale. Servirebbe uno sguardo lungo. Chiedersi davvero cosa significa Draghi al Colle oppure a Chigi, non il miope brancolare cui abbiamo assistito.

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