I soldi per finire il Mose ci sono, basterebbe saperli spendere. La vicenda delle dighe mobili per salvare Venezia dalle acque alte è sempre più surreale, mentre slitta ancora il termine per il fine-lavori, sicuramente al 2024, più probabilmente al 2025. Il Provveditorato alle Opere Pubbliche del Triveneto nel 2021 aveva a disposizione 40 milioni di euro da destinare alla manutenzione. Si tratta di un capitolo cruciale perché le paratoie sono in fondo dal mare da anni e richiedono interventi di pulizia e periodica sostituzione. Inoltre le cerniere che garantiscono il sollevamento sono soggette più di altre parti a usura, con una conseguente significativa riduzione della durata di vita.
Nel 2020 il Provveditorato, all’epoca presieduto da Cinzia Zincone, oggi in pensione, aveva chiesto finanziamenti per interventi che erano definiti urgenti. La risposta dello Stato era contenuta nella legge istitutiva dell’Autorità per la laguna, annunciata nell’agosto 2020, ma mai diventata operativa. Venivano stanziati 40 milioni all’anno fino al 2034, per rispondere alle esigenze, una cifra enorme. Nel 2021 i milioni di euro non sono stati spesi, mentre a Zincone è succeduto, come facente funzioni, Fabio Riva, che è già provveditore della Lombardia e dell’Emilia Romagna.
Ed è proprio Riva ad aver scritto al ministero delle Infrastrutture con la richiesta di trasportare nel bilancio 2022 i residui dell’esercizio che non sono stati spesi. Che fine faranno quei fondi? Potranno essere assegnati al bilancio successivo? Il provveditore ribadisce il concetto della indifferibilità dei lavori, che in realtà sono rimandati da anni. Di chi è la colpa? Del Provveditorato o del Consorzio Venezia Nuova ormai agonizzante, dopo che i commissari voluti da Anac a causa dello scandalo delle tangenti del 2014 hanno lasciato da più di un anno il posto al commissario liquidatore Massimo Miani?
Nella lettera, il cui contenuto è stato rivelato da La Nuova Venezia, Riva scrive: “Come noto, l’Autorità per la laguna istituita con decreto il 14 agosto 2020 non è stata ancora istituita. Giova menzionare che la situazione di crisi del Consorzio Venezia Nuova e la decisione di ricorrere al Tribunale per il concordato preventivo ha comportato il pressoché totale fermo delle attività progettuali e cantieristiche”. Sulla situazione pesa però anche la gestione del Provveditorato che nel 2021 ha assistito ad un burrascoso passaggio di consegne. Cinzia Zincone era entrata in rotta di collisione con il commissario Elisabetta Spitz, incaricata nel novembre 2019 di accelerare i cantieri dell’imponente opera idraulica (costo finale 6 miliardi e mezzo). All’inizio dell’estate 2021 il ministero aveva contestato alla dirigente un anticipo di spesa liquidato a una società cooperativa creditrice. Era stata aperta una procedura disciplinare con sospensione temporanea della Zincone, che non è più entrata in servizio visto che da dicembre è in pensione. Il suo posto è coperto da Riva che in questo momento si sta occupando di cinque regioni italiane, dalla Lombardia al Friuli.
Finita l’era Zincone, a novembre è stata annullata una gara da 64 milioni di euro per le manutenzioni affidata a Fincantieri. Intanto la commissaria Spitz ha avviato una nuova consulenza per verificare lo stato delle cerniere. “Si tratta di accertamenti condivisi dalla Procura della Corte dei Conti del Veneto che nel frattempo ha avviato un’indagine conoscitiva per accertare eventuali responsabilità sull’esecuzione delle predette componenti meccaniche del Mose. – spiega Riva – Questo ha di fatto comportato che il piano di verifica e ripristino degli steli e dei gruppi di aggancio sia stato esaminato solo a fine dicembre dal Comitato tecnico”. Sono le giustificazioni che tentano di spiegare perché tutto è fermo e i milioni di euro disponibili non sono stati spesi. Ed ecco il passaggio finanziario: “Al fine di garantire la pronta e necessaria esecuzione degli interventi manutentivi del Mose, con particolare riferimento alle manutenzioni dei gruppi di aggancio e tensionamento delle paratoie, che trovano copertura a valere su tale importo, si richiede la conservazione di cassa e quindi il trasporto dei residui per l’anno 2022 per l’importo di 39.735.462,15 euro, relativo alle improcrastinabili attività inerenti alla manutenzione programmata e conservativa del Mose”.
In questa eterna incompiuta si aggiunge un nuovo ritardo. Il Tribunale fallimentare di Venezia ha concesso altri due mesi al Consorzio Venezia Nuova per presentare il piano per dare attuazione al concordato. Accolta, quindi, l’ennesima richiesta del commissario liquidatore Massimo Miani che in un anno non è riuscito a trovare l’accordo di un numero sufficiente di creditori per la ristrutturazione di un debito da 300 milioni di euro. Con il nuovo slittamento si prolunga la fase di conclusione dei lavori che a settembre era stata indicata in 24 mesi dalla ripresa dei lavori, anche se per l’intero collaudo erano stati indicati addirittura 48 mesi, ovvero 4 anni. Senza accordo in Tribunale i lavori non riprenderanno. E così ogni previsione è saltata nuovamente. Come aveva anticipato ilfattoquotidiano.it si arriverà di sicuro al 2024, ma forse anche a fine 2025.