di Elisa Roncaglione

Con il 2022 entriamo nel terzo anno segnato dalla pandemia di Covid-19. Di fronte agli strumenti a nostra disposizione, dovrebbe essere anche l’anno in cui non solo riusciamo a porre fine alla crisi sanitaria che ci affligge ormai da due anni, ma anche il momento di slancio per un cambiamento su larga scala della partnership tra Africa ed Europa e della cooperazione globale.

Il prossimo mese i leader dell’Unione Africana e Unione Europea si ritroveranno in un importante vertice per parlare delle priorità del partenariato tra i due continenti, in particolare della risposta all’attuale pandemia. Come giovani attivisti e attiviste, noi volontari europei e africani di One abbiamo raccolto le nostre raccomandazioni in una lettera aperta indirizzata ai nostri rappresentanti politici per chiedere che le promesse per lasciarci la pandemia alle spalle vengano tradotte in azioni concrete. Non solo: chiediamo anche che venga concordato un piano d’azione per risolvere le profonde e preesistenti disuguaglianze tra Africa e Europa che la pandemia non ha fatto che esacerbare.

Dall’inizio di questa pandemia il lavoro di ricerca, sperimentazione e produzione di un vaccino contro il Covid-19, ha dimostrato come la cooperazione globale possa portare a risultati efficienti e rapidi. Una volta disponibili, l’accumulo di dosi in eccesso da parte di paesi più ricchi e l’atteggiamento protezionista e ipernazionalista che ne è seguito hanno permesso la proliferazione di varianti su varianti, mettendo in pericolo i risultati raggiunti nella strada verso il debellamento definitivo del virus. Proprio perché per sua natura il virus non è fermato dai confini nazionali, è impensabile cercare di sconfiggerlo con azioni che non siano intraprese su scala internazionale e che non coinvolgano tutti i paesi del globo, indipendentemente dal loro reddito.

La distribuzione dei vaccini ovunque rimane una questione chiave per uscire dalla pandemia. Come affermato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è insostenibile pensare di porre fine alla crisi provocata dal Covid-19 con richiami del vaccino somministrato a intervalli sempre più brevi nei paesi più ricchi mentre quelli a basso reddito vengono esclusi dalle campagne vaccinali. Questo sistema, oltre a essere moralmente ingiusto, si è dimostrato anche profondamente fallimentare per tutti, oltre che insostenibile sul lungo periodo. Omicron ne è la prova.

Proprio nell’ottica di prevenire il rischio della diffusione di nuove varianti, il primo pilastro delle nostre raccomandazioni ai leader di Europa e Africa riguarda l’implementazione di programmi che puntino a rendere equo l’accesso ai vaccini e che finanzino e rafforzino i sistemi sanitari. Ad oggi, solo il 10% della popolazione africana è completamente vaccinata: è necessario compiere misure urgenti e concrete per assicurare in tutti i paesi una copertura vaccinale pari al 70% della popolazione entro la metà del 2022, come promesso dai leader del G20. Serve rimuovere gli ostacoli a una produzione dei vaccini direttamente in Africa, aumentandone l’offerta, in aggiunta alla pubblicazione di programmi di consegna delle dosi in eccesso condivise dai paesi ad alto reddito. Lo scorso anno, i paesi europei avevano promesso di condividere 700 milioni di dosi entro metà 2022, ma di queste, a pochi mesi dal limite di quest’obiettivo, ne sono state consegnate solo il 39.5%.

Sebbene una ripresa globale equa fosse al centro dell’agenda politica del gruppo dei 20, il divario tra i paesi più ricchi e a basso reddito continua incessantemente ad allargarsi. La pandemia ha evidenziato come le scelte politiche e i quadri normativi siano spesso dettati da doppi standard, evidenti non solo in termini di equo accesso ai vaccini, ma anche in termini di e misure economiche per sostenere la ripresa da questa situazione emergenziale. Da una parte abbiamo l’insieme dei paesi più ricchi, tra cui l’Italia, con un alto tasso di vaccinazione nelle loro popolazioni, che hanno potuto implementare misure economiche e finanziarie senza precedenti per sostenere le loro economie. Dall’altra, i paesi a basso reddito con un tasso di immunizzazione ridotto e con risorse limitate per compiere manovre fiscali efficaci.

Per questo, chiediamo che venga preso un impegno concreto per risolvere le profonde differenze economiche che hanno permesso ai paesi ad alto reddito di spendere una media di $695 in protezione sociale per abitante contro i $4 disponibili nei paesi a basso reddito. La profonda iniquità con cui i vari paesi hanno potuto rispondere alla pandemia dovrebbe essere affrontata tramite una ridistribuzione di risorse verso i paesi più vulnerabili, ad esempio i Diritti Speciali di Prelievo, per permettere loro di risollevarsi dalla crisi sanitaria ed economica, di finanziare le infrastrutture necessarie e di supportare la digitalizzazione e la risposta alle emergenze climatiche. Una redistribuzione delle quote di queste nuove risorse rappresenta uno sforzo minimo da parte delle economie più avanzate, mentre sosterrebbe significativamente le economie maggiormente in difficoltà.

Si tratta della nostra vita e del nostro futuro. In quanto giovani, chiediamo di essere ascoltati e inclusi in ogni delegazione al vertice Unione Africana-Unione Europea, in modo da poter incidere sulle decisioni che i nostri leader stanno prendendo. Abbiamo vissuto l’interruzione della didattica, il passaggio allo smart working, una netta riduzione della possibilità di svolgere le nostre abituali attività di socializzazione: ora pensiamo di avere il diritto di dire la nostra su come uscire da questa crisi e costruire società più resilienti e giuste in cui vivere. Il problema non è che ci manchino gli strumenti necessari per combattere e superare la pandemia, economicamente e per quanto riguarda l’apparato sanitario. Il problema è che non li stiamo utilizzando nel loro pieno potenziale.

È ora di invertire la rotta e imparare a costruire risposte che puntino a un cambiamento di lungo periodo. I nostri leader hanno l’opportunità di sfruttare questo momento non solo per uscire finalmente tutti insieme da una crisi durata due anni, ma anche per ripensare il sistema dei rapporti Europa-Africa e sfruttare le lezioni apprese da questa pandemia per ridare ampio respiro alla cooperazione oltre il Covid-19, agendo insieme sul cambiamento climatico, sull’insicurezza alimentare, sulla disoccupazione e sulle diseguaglianze di genere. Noi, in quanto giovani, in quanto attivisti e attiviste, in quanto cittadini e cittadine, non vogliamo perdere l’occasione per ricordare ai nostri rappresentanti che la posta in gioco è alta, ne va del nostro benessere, e che noi non siamo passivi spettatori delle loro decisioni, ma attivi agenti del cambiamento.

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