Tanti continuano a morire per cercare di raggiungerla. L’anno scorso, secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, sono periti nel mondo circa 5300 migranti. Una buona parte di questi erano in viaggio verso l’Europa. Le rotte dell’Atlantico, del Mediterraneo, dei Balcani e di altre frontiere meno note sono diventate il luogo emblematico della Grande Difesa del continente rispetto al diritto innato di mobilità umana. Cercare orizzonti nuovi di vita non solo non è un crimine, ma è ciò che da sempre gli umani hanno cercato di fare. La stabilità era l’eccezione e la migrazione la regola. L’Europa questo lo sa, perché in un tempo non troppo lontano della storia è stata il continente più ‘nomade’ di tutti.
L’Eldorado non ha terminato di sedurre chi vede nell’Europa un baluardo per la ‘barbarie’. Essa si manifesta altrove con indigenza, dittature, colpi di stato, carestie, guerre e tradimento delle promesse delle indipendenze degli anni ’60. L’Europa si presenta come affluente e influente, riparo contro gli abusi sui diritti umani e terra d’asilo per un certo numero di persone che hanno perso ogni speranza di futuro. Buon numero di migrazioni sono per così dire di ‘ritorno’, nel senso che arrivano parte dei popoli che, a suo tempo, erano stati preda della colonizzazione. Sappiamo che la storia non è mai a senso unico e che, malgrado i tentativi di cancellarne le tracce, è alquanto ostinata. Ad ognuno il suo turno, verrebbe da dire.
Poi c’è l’Europa vista come insaziabile detentrice di potere. Su una parte consistente delle risorse del Sahel, sulle sue politiche economiche e sul tipo di regimi che lo governano, sulle frontiere che essa, l’Europa, ha esteso nel profondo della storia e della geografia, sulle scelte educative e soprattutto sull’immaginario culturale. L’Europa arrogante che pensa di trovarsi ancora al centro del mondo per deciderne le sorti. Un’Europa, vista dal Sahel, come naturale seguito del processo di ricolonizzazione che si attua col consenso, spesso comprato, delle élites locali, tutt’altro che passive in queste operazioni di depossessione delle classi più vulnerabili del popolo. L’Europa che sfrutta, espropria e in seguito si propone di aiutare a chi a rubato.
Ciò che il Sahel conosce meglio dell’Europa è il suo volto umanitario. Centinaia di Organizzazioni Non Governative Internazionali, globali, delocalizzate, nazionalizzate, perpetuate, inventate, comprate, vendute e comunque presenti, sono sul terreno. Aiutano e si affannano a lenire sofferenze, a palliare a crisi endemiche o urgenze impellenti. Accompagnano lo Stato assente nella gestione di carestie, epidemie, catastrofi naturali o prodotte dall’incuria. Dettano modi, tempi, tabelle e permettono ad una fetta delle popolazione di sopravvivere. Creano modelli di società e di gestione del ‘capitale umano’ e cercano di utilizzare al meglio le ‘persone- risorsa’, pagano profumatamente l’affitto di immobili i cui proprietari sono spesso uomini politici o affiliati al partito. Fabbricano corsi e ricorsi per ‘rafforzare le capacità’ del popolo.
C’è, infine, l’Europa che fa sorridere il Sahel perché appare vulnerabile come mai. Impaurita dalla sua potenza perduta e dai virus che scivolano a piacimento e che Lei cerca di imporre come qualcosa di inedito nell’Africa.
Il Sahel sorride quando ascolta il ‘vecchio ‘ continente affermare i principi di democrazia e libertà e poi mettere i propri cittadini sotto chiave. Sorride di compatimento nell’osservare pesi e misure diverse nell’imporre diritti umani e guerre umanitarie per esportare l’unico modello di democrazia possibile. Sorride il Sahel quando sente il rumore provocato dai ‘Mirage’ francesi nel cielo e vede passare le colonne di militari e assume che ognuno, in fondo, cerca solo il proprio interesse particolare e nazionale. E sorride, infine, la sabbia, al pensiero del prossimo arrivo dei nuovi migranti europei che cercheranno nel Sahel ciò che hanno smarrito a casa loro.