Cultura

Shoichi Yokoi, la storia del soldato giapponese nascosto per trent’anni nella giungla

Ne Lo squalo (1975), il grande film-metafora di Steven Spielberg tratto dal romanzo di Peter Benchley, il cacciatore di pescecani interpretato da Robert Shaw, prima di finire nelle fauci del grande squalo bianco, racconta, sulla barca, ai suoi compagni Roy Scheider e Richard Dreyfuss – tutti sono un po’ alticci – di aver fatto parte, nell’estate del ’45, dell’equipaggio della Uss Indianapolis, l’incrociatore che aveva trasportato la bomba atomica lanciata poi su Hiroshima e Nagasaki (oltre 250 mila civili giapponesi morti) e che, di ritorno dalla missione, venne affondata nel Pacifico laddove buona parte dell’equipaggio perse la vita anche per gli attacchi dei pescecani. Lo squalo, dunque, assurto a simbolo di punizione divina, un po’ come Moby Dick.

Il sergente Shoichi Yokoi nulla sapeva, però, del bombardamento del Giappone né, dunque, della conseguente resa degli irriducibili del Sol Levante: soltanto mezzo secolo fa, il 24 gennaio del ’72 (proprio oggi ricorrono i cinquant’anni dell’evento), Yokoi venne ritrovato ed ebbe contezza (anche se lui dichiarò a caldo, in stato confusionale, di saperlo) che la guerra era finita, dopo aver trascorso quell’interminabile periodo di selvaggia inconsapevolezza nella giungla delle Filippine. La sua unità era stata sorpresa dagli americani che erano sbarcati in quella zona la notte del 21 luglio ’45. Inizialmente con lui avevano vissuto il forzato esilio due compagni (morti nel ’64) e Yokoi restò solo, nascondendosi in un’area montuosa. Del resto, gli ordini erano di combattere fino alla morte in rispetto del rigido codice etico giapponese del Bushido.

Isolato dalla civiltà e in armi (inizialmente… fin che non si arrugginirono), si cibò di ciò che la natura gli offriva: noci di cocco, frutti dell’albero del pane, papaia, lumache, anguille e topi, persino di corteccia d’albero, potendo contare temporaneamente solo sull’attrezzatura militare d’ordinanza. La casa di Yokoi era una grotta sotterranea, una sorta di tunnel nascosto in un boschetto di bambù. Essendo stato, da civile, un sarto, riuscì a cucirsi addosso abiti di fortuna realizzati con foglie di palma, ibisco e altre piante. Fu avvistato, dopo 28 anni di isolamento, mentre pescava nel fiume Talofofo, da due cacciatori locali che lo scortarono presso le autorità locali: aveva 57 anni. Il rapporto di polizia lo descrive, al ritrovamento, come “un uomo magro, pallido, apparentemente debole, barba corta, capelli tagliati grossolanamente sulla schiena, scalzo e vestito con pantaloni corti e maglietta sporchi”. I medici del Guam Memorial Hospital dissero che “la sua pressione sanguigna, il cuore e il polso erano normali, ma sembrava anemico, a causa della sua dieta priva di sale”.

Tornato in Giappone, sconcertato e inizialmente incapace di rapportarsi con una società a lui sconosciuta nonostante fosse stato accolto come un eroe, dichiarò: “Ho vergogna di ritornare vivo”. Via via si riprese e, divenuto un personaggio, nel ’74 si presentò persino per un seggio alla camera alta del parlamento, ma non venne eletto, e tirò avanti con corsi di sopravvivenza e apparizioni in tv. Scrisse anche un libro (Lettere dal Pacifico). Si sposò e, d’accordo con la moglie Mihoko, decise per una luna di miele proprio… a Guam. Morì, ottantaduenne, per un infarto, il 22 settembre del ’97.

Il caso di Yokoi, pur essendo quello che primeggia per lunghezza temporale, non è certo l’unico nel suo genere: i cosiddetti zan-ryū Nippon hei ovvero soldati fantasma nipponici, quelli che, per svariate ragioni, dopo il 2 settembre ’45, non abbandonarono la divisa, sono moltissimi. I servizi segreti Usa stimarono in 550mila uomini l’ammontare delle truppe nipponiche ancora in armi poste al di fuori dal Giappone con un ulteriore milione e 600 mila militari dislocati in Cina e Manciuria, ancora impegnati in guerriglie con sovietici e cinesi. Ma se, fra la metà di settembre e il dicembre ’45, la maggior parte di queste truppe allo sbando si arrese agli alleati, alcuni gruppi, soprattutto nelle Filippine, resistettero con azioni paramilitari ancora per parecchi mesi.

La quasi totalità dei soldati fantasma fu catturata, venne uccisa in scontri a fuoco, morì per cause naturali o, infine, si arrese nella seconda metà degli anni Quaranta. Ma non tutti. Una delle più note vicende dei resistenti è quella dei soldati Hiroo Onada e Fumio Nakahira che uscirono allo scoperto dopo anni di latitanza, nel ’74. Il regista Arthur Harari ha tratto un film, Onoda – 10000 nights in the jungle, sulla loro vicenda. Premiato l’anno scorso a Cannes nella sezione Un Certain Regard è stato penalizzato, quanto a distribuzione, dal Covid-19.

C’è poi la storia di Noubo Sangrayban, che, dopo aver visto, nel ’97, al suo ritrovamento, le foto delle moderne città giapponesi, preferì continuare a vivere nella giungla. Statisticamente – riportano attendibili fonti storiche e giornalistiche – è probabile che altri soldati giapponesi ancora non sanno (o sono morti senza sapere) che la guerra è finita da 76 anni (l’ultimo ritrovamento, non confermato dalle autorità giapponesi, risalirebbe al maggio del 2005!). Sergio Corbucci ci ha persino scherzato su con il film Chi trova un amico trova un tesoro (1981) laddove la coppia Bud Spencer-Terence Hill, alla ricerca di un tesoro, trovano, come suo custode, un samurai che crede d’essere ancora in guerra con l’occidente.