“Gli allevamenti intensivi inquinano il suolo, inquinano l’acqua e poi esportano carne di peggior qualità proveniente da animali maltrattati“. Queste dichiarazioni sono state rilasciate al Guardian dal ministro del Consumo spagnolo, Alberto Garzón (leader di Izquierda Unida, alleato di Podemos), il 26 dicembre. Per giorni sono passate inosservate, fino a quando Alfonso Fernández Muñeco (Partito Popolare), attuale presidente della Castiglia e León, in campagna elettorale per le elezioni regionali del 13 febbraio ha inveito su Twitter contro il ministro scatenando le reazioni indignate di tutta la destra, e non solo. Nel post di Muñeco appare l’articolo di un sito web specializzato nell’industria della carne intitolato “Garzón afferma che la Spagna esporta carne di poca qualità da animali maltrattati”. Il ministro ha risposto pubblicando l’intera trascrizione dell’intervista per spiegare che le sue critiche erano rivolte esclusivamente agli allevamenti intensivi, dove gli animali sono allevati in massa e al chiuso, mentre promuoveva al contempo quelli estensivi, dove gli animali possono pascolare. Ma era già troppo tardi.

Vox, Ciudadanos e Popolari hanno chiesto che Garzón compaia in Parlamento per rettificare, ma le critiche sono arrivate anche da esponenti del Partito Socialista, la formazione del premier Pedro Sánchez che governa in coalizione con Podemos. Tra questi ci sono presidenti di alcune delle regioni con più alto tasso di allevamenti intensivi, come l’Aragona e la Castiglia-La Mancia. Ciò che però ha fatto infuriare Podemos è stato proprio il mancato appoggio di Sánchez, che ha commentato la questione in modo evasivo: “Come presidente del governo esprimo il mio dispiacere per questa polemica e credo di aver detto tutto”. I socialisti hanno comunque deciso di sostenere Garzón annunciando che non appoggeranno le richieste della destra.

In Spagna gli allevamenti intensivi di pollame, suini e bovini si stimano attorno ai 7mila, ma non esiste un dato preciso perché ogni regione stabilisce un limite diverso per definirli tali. Secondo il registro statale di emissioni e fonti contaminanti, i complessi di pollami e suini emettono nell’aria 28 sostanze contaminanti, tra cui soprattutto ammoniaca —il 92% del totale— e metano. I dati del ministero dell’Agricoltura hanno registrato un aumento del 36% dei maiali uccisi tra il 2007 e il 2020, da 41 a 56 milioni, come nessuno in Europa.

Ma mentre il numero dei capi di bestiame è aumentato, quello degli allevamenti di suini è diminuito del 76% tra il 2005 e il 2016, come spiega un’inchiesta del Guardian. Questo significa che gli animali si concentrano sempre di più in strutture di produzione intensiva, con conseguenze demografiche sui piccoli centri che le accolgono. Anche se il governo sostiene che la grande maggioranza degli allevamenti sia di piccole e medie dimensioni, le conseguenze dello sfruttamento sono visibili nelle Comunità Autonome che ne accolgono di più, specialmente Aragona, Catalogna e Castiglia e León. Alcune di loro stanno agendo in merito. La Catalogna ha iniziato a farlo nel 2019, impedendo la costruzione almeno fino al 2025 di nuove installazioni per ridurre l’inquinamento delle sue falde acquifere causato dai nitrati presenti negli escrementi dei suini. Sono quasi 200 le masse di acqua superficiale contaminate in tutto il Paese, 166 quelle sotterranee. A ottobre, il governo catalano ha inoltre varato un decreto per fissare un limite di 600 mucche e introdurre corsi di formazione obbligatoria sulla salute degli animali per i lavoratori del settore.

La Castiglia-La Mancia ha proibito la costruzione di allevamenti superintensivi fino al 2024, mentre l’Aragona ha limitato le dimensioni delle nuove strutture e le ha subordinate alla loro capacità di smaltire il letame. Un’iniziativa molto simile a quella della Navarra, dove il limite è stato fissato a 1.250 unità nel caso dei bovini. Tra le regioni a rischio, manca all’appello la Castiglia e León che ha invece scelto di alleggerire i requisiti richiedendo solo una licenza ambientale. Sul fronte nazionale, nell’aprile del 2021 il ministero dell’Agricoltura, Pesca e Alimentazione ha annunciato l’elaborazione di un testo per regolare la grandezza degli allevamenti di bovini e portarli a massimo 850 unità, anche se non dovrebbe agire sulle attività già esistenti. Con altri due decreti ha cercato di regolare anche gli allevamenti di suini, stabilendo un minimo di 200 metri di distanza dai centri popolati, e di pollame, ma la giustizia europea ha considerato queste iniziative “insufficienti e insoddisfacenti”.

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