Tutti dicono di non volere la guerra in Ucraina e per l’Ucraina, ma tutti si comportano come se la volessero davvero. La Russia ammassa truppe e mezzi lungo i confini con l’Ucraina e consolida i presidi alle frontiere con i Paesi Nato, i Baltici e la Polonia; e, secondo l’intelligence britannica, vuole rimpiazzare la leadership ucraina democraticamente eletta con fantocci filo-russi. Gli Usa predispongono un arsenale di ulteriori sanzioni anti-russe; decidono aiuti all’Ucraina e sollecitano gli alleati a offrire sostegno – anche militare – a Kiev; e, come fa pure la Gran Bretagna, ne fanno venire via il personale diplomatico non essenziale – una mossa giudicata eccessiva, o almeno prematura, dalle stesse autorità ucraine.

Tanto rumore per nulla? Non c’è da esserne sicuri, da stare tranquilli. La tensione è alta, i margini d’errore sono minimi e una provocazione – o una valutazione sbagliata – potrebbero fare precipitare la situazione. Anche se in America e in Europa nessuno ha voglia di ‘morire per Kiev’ o anche solo di morire di freddo a casa propria senza il gas russo.

“Spirano pericolosi venti di guerra in Europa orientale – scrive Mattia Bernardo Bagnoli sull’Ansa – e il botta e risposta sempre più aspro tra Washington e Mosca rischia di fare precipitare le cose”. Per gli Usa, “è chiaro che i russi non hanno intenzione di ridurre le tensioni”, mentre la Russia accusa l’Alleanza di acuire le tensioni con “annunci isterici”.

Diplomaticamente, la situazione è in stallo: Mosca attende una risposta da Washington e dalla Nato, che dovrebbe arrivare in settimana, alle sue richieste di sicurezza, cioè la garanzia che l’Ucraina, ma anche la Georgia e la Moldavia, non entreranno mai nella Nato. Gli Stati Uniti e i loro alleati non possono accettare questa condizione, che equivarrebbe a riconoscere alla Russia un diritto di veto sulle adesioni alla Nato, ma non intendono neppure fare entrare nell’Alleanza Paesi problematici.

L’Ucraina, poi, all’opinione pubblica americana è nota soprattutto per le beghe di politica interna, che la misero al centro della campagna elettorale 2020, e per la mafia ucraina, che ha un posto d’assoluto rilievo nella malavita cinematografica. Nel 2020, i democratici lanciarono una procedura di impeachment, abortita, contro il presidente Donald Trump perché chiese al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di aprire un’inchiesta per corruzione sui Biden – il figlio di Joe aveva ricevuto un lauto incarico da un’azienda energetica ucraina – subordinando all’avvio dell’azione giudiziaria la concessione di aiuti stanziati dal Senato di Washington.

La crisi ucraina è già stata al centro di due colloqui virtuali tra i presidenti Usa Joe Biden e russo Vladimir Putin e di giri di consultazioni a geometria variabile nelle ultime due settimane. Ieri, Biden ha incontrato ‘a distanza’ alcuni leader europei, fra cui il premier italiano Mario Draghi, costatando “un’unanimità totale” – dice la Casa Bianca – nel “ribadire il sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina”. Palazzo Chigi rileva “l’importanza di mantenere il più stretto coordinamento e l’esigenza di una risposta comune”.

Poche ore prima, i ministri degli Esteri dei 27 dell’Ue, riuniti a Bruxelles, dopo un consulto virtuale con il segretario di Stato Usa Antony Blinken, avevano affermato che la sicurezza europea “è indivisibile” e che qualsiasi sfida all’ordine della sicurezza europea colpisce “la sicurezza dell’Ue e dei suoi Stati membri”. In una nota dei 27, si legge che “le sfere d’influenza – la dottrina di Yalta rivitalizzata da Putin, nda – non hanno posto nel 21esimo secolo”: l’Ue condanna le “continue azioni aggressive e le minacce della Russia all’Ucraina” e invita Mosca “a smorzare la tensione”.

Uno show d’unità europea e atlantica che fa dire al portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price che gli Usa non hanno “alcuna divergenza” con gli alleati europei sulle sanzioni alla Russia in caso d’invasione dell’Ucraina, né sull’urgenza della minaccia. Ma sotto la coralità dei principi, ci sono differenze di tonalità nel gridare al lupo e diversità di posizioni: i Baltici, la Polonia e altri sono pronti a inviare armi, uomini e mezzi, compresi navi e aerei; la Germania con l’Italia e altri sono più caute. Jens Stoltenberg, il numero uno dell’Alleanza atlantica, puntualizza l’ovvio: l’Ucraina non fa parte della Nato e non può quindi invocare l’articolo 5, quello che fa scattare la difesa comune.

Ma la Nato rafforza i contingenti nell’Europa dell’Est, specie nel Baltico. Gli Usa stanno valutando il dislocamento di truppe nella Regione (si parla di 5.000 soldati, di più se necessario), il Pentagono mette 8.500 militari in allerta. Secondo fonti di stampa Usa, sabato a Camp David Biden ha vagliato diverse opzioni con il segretario alla Difesa Lloyd Austin e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan.

Il Cremlino commenta: “La Russia non può ignorare l’attività della Nato”, E il portavoce di Putin Dmitry Peskov chiosa: “Il rischio che le forze armate ucraine inscenino provocazioni nel Donbass ora è più alto“.

Anthony Faiola sul Washington Post si chiede “fin dove arriveranno gli occidentali per difendere Kiev”; e Amber Phillips, sullo stesso giornale, esplora quello che considera “la prossima grande sfida di Biden”. Da Trump a Putin, uno che spariglia le carte, l’altro che gioca a care coperte; uno che mette in gioco la democrazia, l’altro la pace.

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