Un colpo d’altri tempi. Un colpo che sembrava impossibile, per mille ragioni, i problemi finanziari dei bianconeri, la rivalità con la Fiorentina, gli appetiti delle big mondiali, la finestra di gennaio che di solito è avara di affari e sorprese. Invece ormai è quasi fatta: Dusan Vlahovic alla Juventus. Per 60 o 70 milioni cash, poco cambia, una barca di soldi se ci mettiamo dentro anche l’ingaggio (circa 7 milioni netti a stagione) e le commissioni per gli esosi agenti del serbo che hanno bloccato qualsiasi altra trattativa. Uno schiaffo alla crisi e al campionato.
Vlahovic alla Juventus è uno di quei trasferimenti che cambia gli equilibri della Serie A. In ogni senso. Dal punto di vista sportivo, non c’è neanche da parlarne: si tratta dell’attuale capocannoniere del torneo (17 reti a pari merito con Ciro Immobile), un attaccante di 21 anni da mezzi fisici e tecnici straripanti, potenzialmente uno dei top 3 centravanti al mondo del prossimo decennio. La Juve si sbarazza di Morata (dopo aver “buttato” 20 milioni di prestito) e inserisce al centro del suo attacco il bomber che mancava. Il centrocampo resta una pena, ma davanti almeno Allegri non avrà più problemi, anzi, dovrà fare lui qualcosa in più per migliorare il gioco (inguardabile) della sua squadra e mettere in condizioni il nuovo acquisto di rendere al meglio.
La vera questione, però, è cosa significa l’operazione Vlahovic dal punto di vista politico e finanziario. Tutti oggi si chiedono: ma come fa la Juventus, che ha un mare di debiti e di problemi, ha chiuso l’ultimo bilancio con una perdita di oltre 200 milioni, a potersi permettere Vlahovic? La risposta è semplice: grazie agli Agnelli. Si è sempre detto che tempi duri avrebbero atteso i bianconeri, i conti non stavano in piedi, bisognava tagliare spese e ingaggi (come dimostra la proposta di rinnovo al ribasso fatto a Dybala). Un vero e proprio ridimensionamento. Ed era vero, ma con una postilla: a meno che Agnelli (ed Elkann) non decidano di aprire il portafoglio e tornare ad investire, perché al netto dei paletti del fairplay finanziario (per altro alleggeriti durante la pandemia e in fase di rivisitazione), una società dipende sempre sulla sua proprietà.
Questa è la grande differenza della Juventus rispetto a Inter e Milan, che esiste ancora ed esistere fino a quando le milanesi non saranno cedute. Inter e Milan non hanno una vera proprietà alle spalle: i rossoneri sono di un fondo che ha come unico interesse la valorizzazione del loro asset; i nerazzurri appartengono alla Cina che ha di fatto chiuso i rubinetti. Quindi per motivi diversi hanno entrambi le mani legate. La Juve no, è degli Agnelli, che non hanno mai buttato soldi nel calcio, devono fare i conti con la dura realtà come tutti, ma possono sempre decidere di fare un grande investimento, se lo ritengono opportuno.
È quello che è successo: per provare a invertire il trend negativo e iniziare davvero la rifondazione, forse anche per farsi perdonare tutti gli errori recenti (dallo scriteriato acquisto di Cristiano Ronaldo alla cacciata di Marotta), Andrea Agnelli ha deciso di regalare Vlahovic alla Juventus. Subito, addirittura a gennaio. Per alcuni è un azzardo, col bilancio disastrato che si ritrova. In realtà, è soprattutto un’operazione intelligente: innanzitutto perché la Juventus rischiava di non arrivare in Champions (un tracollo da 50 milioni), che ora non dovrebbe sfuggire. E poi perché si tratta esattamente del giocatore ideale su cui costruire un nuovo ciclo: giovane, fortissimo, un investimento che comunque vada difficilmente perderà valore. E che vale di certo qualche sacrificio (il mancato rinnovo di Dybala? La cessione in estate di De Ligt?).
Il calcio moderno ha due strade davanti a sé per andare avanti. La prima è quella della sostenibilità finanziaria, ed è ovviamente la più virtuosa, il modello Bayern per intenderci. La seconda però era e resterà ancora quella delle grandi proprietà, che quando le cose non vanno aprono il portafoglio, staccano un assegno e finanziano la squadra. Come ha fatto adesso Agnelli, che è l’unico in Italia (insieme ai Friedkin alla Roma) a poterselo permettere. Non c’è nulla di male in tutto ciò. Certo, basta poi non andare a piangere miseria per ricevere aiuti dal governo.
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