C’è la partenza. La prima: per gli Stati Uniti, a sedici anni, ospite di una famiglia fra le foreste dell’Oregon. C’è il ritorno, un anno dopo, con lo sguardo per sempre cambiato sulla vita e sulle possibilità che l’estero può offrire. Ma anche togliere. Ci sono la nostalgia di casa, la solitudine, l’amicizia. Le valigie: da chiudere, da aprire. Comunque sempre da rifare. La cerimonia per celebrare San Nicola – Sinterklaas – tipica dell’Olanda, dove invece di imbastire la tavola per il Natale imminente si mangia una zuppa. Le feste studentesche, in cui gli invitati si siedono a cerchio (ad Amsterdam funziona così) e la presa di coscienza di essere diventati, nel tempo, stranieri in una terra nuova. Tutto questo si legge nel libro di Michela Grasso, Il futuro non può aspettare – Perché la mia generazione è costretta a partire, edito da DeAgostini. Ritratto e voce di un fenomeno così conosciuto da avere ormai tratti quasi leggendari: i cervelli in fuga dall’Italia. Non solo professionisti, ma anche ragazzi giovanissimi che scelgono di andare all’estero per studiare e lavorare. Alcuni tornano, altri no. Cercano, appunto, quel futuro che all’interno dei confini nazionali è sfuocato o lontano. Michela Grasso è una di loro. Dopo l’anno in Oregon è tornata in Italia, si è diplomata e in seguito è ripartita per l’Olanda, dove si è iscritta all’Università di Amsterdam scegliendo Scienze Politiche. I social la conoscono come mente dell’account @spaghettipolitics, oltre 230mila follower e la foto di Silvio Berlusconi (con bandana) come immagine del profilo. Un progetto nato, si legge nel libro, per raccontare l’Italia all’estero: “Viene vista come questo Paese mistico, dove si mangia bene, fa caldo, ma che funzionerebbe meglio se a governarlo non fossero gli Italiani”.
Il futuro non può aspettare racconta invece le motivazioni non di una fuga, ma di una scelta. Lo spiegano le voci raccolte nel testo, che si affiancano all’esperienza personale dell’autrice. Qualcuno è partito alla ricerca di uno stile di vita più libera lontano dalle discriminazioni, come Luca. Altri scelgono la via dell’anno sabbatico a 43 anni, per esempio Andrea. Tianzi invece ha deciso di tornare alle sue origini e dall’Italia è rientrata a Shangai, in Cina. E Michela? Riporta il proprio viaggio, partendo dall’inizio. Arriva nel suo alloggio nel luglio del 2018, con due valigie enormi e una rampa di scale davanti. Diciassette coinquilini con due bagni e una cucina: i primi mesi passano nel movimento di “un’indipendenza che non avevo mai conosciuto”. Il bello rimane, ma si porta dietro anche il difficile. La solitudine dell’integrazione, nonostante la matrice comune europea. Ricorda le cene passate in silenzio perché dense di riferimenti ad argomenti specifici della cultura locale, poi conosciuti passo dopo passo (e cena dopo cena). I contratti in nero in un ristorante per turisti, pagata “5.35 euro all’ora” per lavorare tutto il giorno fra le diffidenze e le occhiate di chi considera gli Italiani i soliti eterni pigri. Lo spaesamento: Michela non si ritiene né immigrata né expat: “Quando venivo sfruttata in un ristorante nel centro di Amsterdam, i miei datori di lavoro, così come i miei colleghi, mi consideravano un’immigrata. Quando invece mi trovavo in un’aula universitaria a discutere di politica internazionale con i professori ero vista come un’expat”. E proprio l’Università dà alla sua esperienza il respiro che cercava, soprattutto nel confronto. Con gli altri studenti – sia olandesi sia internazionali – e con i professori. Le lezioni sono un dialogo che unisce le due parti, l’ascolto non manca mai. La nostalgia di casa viene condivisa con gli altri ragazzi e mitigata con le ricette che la nonna le invia dall’Italia, scrivendo alla fine dei messaggi ‘Ciao bellissima’. Il libro è dedicato a lei. Ora Michela Grasso è partita di nuovo, per la Francia, dove resterà per alcuni mesi. La domanda che prima o poi raggiunge tutti i cervelli in fuga la colpisce in pieno: tornerà in Italia? Cerca di rispondere fra le righe conclusive: “Se penso al mare della mia Liguria, agli alberi di nocciolo che punteggiano l’Irpinia dei miei ricordi e al caos pulsante di Milano che non sta mai in silenzio, mi commuovo e mi sento italiana fino al midollo”. Ma non crede a chi le dice che se vuole bene al suo Paese deve per forza restare: “Andarsene non è solo un capriccio, dietro quelle valigie chiuse e stanze vuote ci sono mesi, magari anni, di sogni, di idee e di ripensamenti. Solo chiudendo la porta della mia camera da adolescente per l’ultima volta sono riuscita a capire cosa ci fosse fuori e quanto i giovani contino davvero per l’Italia, e spero che queste competenze che piano piano acquisisco all’estero io possa portarle a casa un giorno”.
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