Anpi Scala e Anpi Milano, con la partecipazione dell'Associazione Figli della Shoah, hanno dedicato a lui il concerto che ogni anno si tiene in vista del 27 gennaio. Costretto a scappare in Svizzera nel 1943, tornò a Milano a guerra finita, richiamato da Toscanini. Gadi Schoenheit, assessore alla cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: "Per lui dirigere significava entrare in comunicazione con le persone"
Fu un trafiletto anonimo su Il Corriere della Sera a dare la notizia: “A sostituire il maestro Vittore Veneziani nella direzione del coro della Scala è stato chiamato per la prossima stagione il maestro Costantino Costantini”. Era il 29 novembre del 1938 e le leggi razziali avevano escluso i cittadini di religione ebraica da tutti gli enti pubblici, comprese aziende e scuole statali. Veneziani – ferrarese, ebreo – considerato il più grande direttore di coro fra le due guerre, subisce lo stesso destino degli altri. Era arrivato a Milano nel 1921, chiamato da Arturo Toscanini proprio per guidare le voci del teatro più prestigioso della città. “Dirigeva e componeva. Fra le due attività, forse, preferiva la prima. Perché per lui dirigere era un modo per entrare in relazione con le persone”, ricorda Gadi Schoenheit, assessore alla cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Sua madre, 90 anni, lo conosceva: entrambi ebrei ed entrambi di Ferrara. “Ma anche la composizione era fondamentale: scriveva ciò che poi avrebbe fatto cantare. Quindi, era un modo per tornare a dirigere”, continua. È stato lui il protagonista del tradizionale concerto che ogni anno si tiene al Teatro alla Scala di Milano in occasione della Giornata della Memoria, promosso dall’Associazione nazionale partigiani italiani, sezioni Scala e Milano, insieme all’Associazione Figli della Shoah. Il programma prevedeva composizioni di Veneziani con la partecipazione del coro scaligero, diretto dal maestro Alberto Malazzi.
“Veneziani era la personalità di religione ebraica in assoluto più conosciuta a Ferrara, all’epoca”, prosegue Gadi Schoenheit. “La sua esclusione da un teatro di tale portata colpì tutti e se ne parlò moltissimo”. Come ricordano le note di sala firmate da Gian Francesco Amoroso, Roberto Cenati e Francesco Lattuada, le leggi razziali tolsero anche gli abbonamenti a chi, nel pubblico, era di religione ebraica. Contro la decisone si sollevò il maestro Erich Kleiber, voce unica in un sottofondo fascista: “Apprendo in questo momento che il Teatro della Scala ha chiuso le sue porte ai vostri compatrioti israeliti. La musica è fatta per tutti, come il sole e l’aria. Là dove si nega a degli esseri umani questa fonte di consolazione così necessaria in questi tempi duri e questo soltanto perché essi appartengono a un’altra stirpe o a un’altra religione, io non posso collaborare né come cristiano né come artista”. Motiva così la sua rinuncia alla direzione del Fidelio, di Ludwig van Beethoven. “Debbo di conseguenza pregarvi di considerare nullo il mio contratto, malgrado il piacere che avrei avuto di dirigere in questo magnifico teatro, che rammenta le più nobili tradizioni italiane”.
Veneziani va avanti: prima diventa maestro di coro delle sinagoghe di Milano, Torino, Firenze e, sempre a Milano, della scuola ebraica di via Eupili. Qui ritrova molti colleghi che condividono la sua stessa religione, allontanati dalle scuole pubbliche. L’istituto, grazie anche al suo operato, rinasce. Ma poco dopo la situazione peggiora e Veneziani è costretto a scappare in Svizzera, nel 1943. “Come la mia famiglia, ma una volta oltrepassato il confine si separarono. I miei proseguirono fino a Ginevra, Veneziani restò nel Ticino”. E da lì non si mosse, scampando così ai campi di concentramento. “La sua attività di compositore non si spense, anzi, proprio in questi anni compose musica sacra cattolica che fu poi rappresentata in alcune chiese svizzere”, spiega Schoenheit. Due anni dopo finisce la guerra. Veneziani si trova a Roveredo, 2mila abitanti nel Canton Grigioni, nel collegio di Sant’Anna e il Pio ricovero dell’Immacolata, dove furono accolti centinaia di perseguitati tra cui lo scrittore Sabatino Lopez e famiglia nonché il poeta Diego Valeri. Riceve una comunicazione che segna un altro cambio di rotta: è Toscanini. È tornato dagli Stati Uniti, dove aveva cercato respiro antifascista. Rivuole il collega ferrarese nel ruolo che era stato costretto a lasciare. Ed è lì che Veneziani torna, nel 1946, per la riapertura del Teatro alla Scala, voluta dal primo sindaco del capoluogo lombardo in fase post liberazione, Antonio Greppi. Il concerto si tiene l’11 maggio. In platea e fra i palchi, dove si è sistemata tutta Milano, c’è anche la famiglia di Gadi Schoenheit. Rossini, Boito, Puccini, Verdi: suona la musica italiana. E a dirigere il coro, come prima, c’è Vittore Veneziani.
Una vocazione, sì, ma soprattutto uno strumento per entrare in relazione con le persone. Per questo Veneziani ricercò sempre la formazione corale, anche durante gli anni in esilio. Ma l’ultimo in ordine di tempo riporta il musicista alle sue origini: “A guerra conclusa riuscì a rincontrare i miei nonni, con cui aveva un legame stretto. Lui e mio nonno – Renzo Bonfiglioli, ndr -, insieme a Mario Roffi, decisero di fondare l’Accademia corale della città di Ferrara, che in seguito prese il nome di Accademia corale Vittore Veneziani, quando morì nel 1958″. Questo progetto, tutt’ora attivo, partiva da un concetto semplice: “Pensò che a Ferrara non poteva non esserci”. Nel 1929 i coristi scaligeri gli regalarono una targa d’argento come ringraziamento per insegnamenti ricevuti. Fra questi c’era ‘il canto più bello’: “Quello della riconoscenza”.
Per le immagini si ringrazia l’archivio fotografico del Teatro alla Scala di Milano