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Eddy Hamel, il calciatore che riempiva gli spalti d’Olanda deportato ad Auschwitz: primo americano e primo ebreo a giocare nell’Ajax

Nato nel 1902, iniziò la sua carriera sportiva nell’Amsterdamsche Football Club. Fu arrestato insieme alla sua famiglia nel 1942 e morì nel campo di concentramento polacco nel 1943

“Ho un ascesso in bocca”. Eddy Hamel guarda preoccupato Leon Greenman. È il suo compagno di camerata, l’unica presenza amichevole che gli è rimasta da quando è stato separato dalla sua famiglia tre mesi prima. In un altro momento quel gonfiore in bocca sarebbe stata una cosa di poco conto, ma non lì. A Birkenau qualunque cosa è rilevante e la linea che separa chi vive e chi muore è sottilissima. È il 30 aprile 1943 e i due sono nudi al centro di una stanza umida, spoglia e fredda. Attorno, le SS, che devono giudicare chi è ancora in buona salute e chi no. I primi vanno nella fila a destra, i secondi in quella di sinistra. I primi continuano a lavorare. I secondi però non vanno in infermeria. Vanno direttamente nelle camere a gas e da lì nei forni crematori. Le SS osservano Eddy. Vedono la sua bocca gonfia. Fila sinistra. Quella opposta rispetto a Greenman. Probabilmente i tedeschi non lo sanno, ma quella decisione non ha colpito una persona qualsiasi. Fino a quindici anni prima infatti Eddy Hamel era una delle stelle del calcio europeo. Uno di quei giocatori che riempiva gli spalti di tutto l’Olanda.

Agli inizi del Novecento sono centinaia di migliaia le persone che si imbarcano per gli Stati Uniti. Per cominciare una vita nuova e cercare fortuna. È molto più raro invece trovare qualcuno che si impegni nel viaggio inverso. È quello che decidono di fare però Moses e Eva Hamel, arrivati in America nel 1901. Per il viaggio di ritorno non sono però soli. C’è anche il loro figlio adolescente: Edward Hamel, detto “Eddy”, nato il 21 ottobre 1902.

Ad Amsterdam Eddy riesce subito ad ambientarsi. D’altronde si è sempre sentito più olandese che statunitense. Qui si appassiona al calcio. Inizia così a giocare nell’Amsterdamsche Football Club. I rossoneri – oggi presenti nella terza serie olandese – hanno una grande rivalità con i cugini biancorossi dell’Ajax. Non è quindi una sorpresa se il giovanissimo Hamel viene beccato a calciare palloni verso le finestre della struttura dei Lancieri. Un comportamento scorretto che un giardiniere dell’Ajax punisce immergendolo in un ruscello vicino. Molto più sorprendente è invece il suo passaggio proprio all’Ajax nel 1922. Hamel ha 20 anni e per lui è la svolta della carriera. È il primo giocatore ebreo e il primo americano a giocare nella squadra più importante d’Olanda. Ma perché l’Ajax ha scelto di puntare su quel giovane newyorkese che si divertiva a rompere i vetri della sede? Perché Eddy non è solo un ragazzo impertinente ma è anche forte, fortissimo.

La sua tecnica e la sua rapidità sono un’anomalia nei primi anni Venti. Un giocatore che semplicemente non si era mai visto da quelle parti d’Europa. Un’ala che attrae le folle allo stadio grazie ai suoi dribbling sulla fascia. L’unico difetto? Non segna. E non per incapacità ma per scelta. L’assist gli dà più soddisfazione. Resta ai Lancieri fino al 1930, totalizzando 125 partite e segnando appena 8 reti.

Lasciare l’Ajax coincide con l’inizio di un nuovo capitolo. Hamel si siede in panchina e comincia ad allenare due club di livello inferiore. Uno nel villaggio di pescatori di Volendam, l’altro più a nord, l’Alcmaria Victrix ad Alkmaar. La sua vita però era già cambiata anni prima. Nel 1928 si sposa con Johanna Wijnberg, da cui avrà due gemelli dieci anni dopo, Paul e Robert. Nel 1940 l’Olanda viene invasa dalla Germania nazista. È scoppiata la Seconda guerra mondiale. In giro si cominciano a vedere e a sentire molte cose riguardo alle persecuzioni tedesche contro gli ebrei, ma la famiglia decide di rimanere ad Amsterdam. Alla fine, a loro non dovrebbe succedere niente di male. Sono ebrei ma anche cittadini americani. E invece questo non li risparmia.

Nel 1942 vengono arrestati dalle SS e deportati nel campo di detenzione di Westerborck, luogo di internamento olandese da cui poi partivano i treni diretti in Polonia. È una domenica di gennaio quando, in mezzo alla neve, una locomotiva entra nel complesso di Auschwitz. Oltre a Hamel ci sono 659 ebrei olandesi, 240 maschi e 419 femmine. Trentasei ore di viaggio in piedi, tra il freddo, la fame e la sporcizia. Ammassati in uno spazio angusto. Appena arrivati a destinazione, la separazione è stata immediata. Eddy da una parte, Johanna e i bambini dall’altra. Non si rivedranno più.

Soltanto 19 donne e 50 uomini vengono avviati al lavoro. Gli altri spariscono nel nulla, inghiottiti dalle camere a gas. Nella baracca si ritrovano in 1.000. Hamel e Greenman condividono una cuccetta di legno e cercano di farsi caldo a vicenda durante le fredde notti polacche. Una routine infernale che si interrompe quel 30 aprile 1943. A causa di un banale ascesso in bocca.

Foto: @Auschwitz Memorial