"C’è qualcosa di più profondo che rinvia all’antisemitismo in particolare e più in generale a un grumo razzista che pulsa in modo evidente in tanti Paesi dell’Est, molti dei quali membri dell’Unione Europea", spiega il presidente Anpi: "Lo sterminio del popolo ebraico non si consumò soltanto nei lager ma si incarnò in tanti massacri locali che costellarono gli anni della guerra"
Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa, guidata dal maresciallo Ivan Konev, liberava la città polacca di Oświęcim. Il nome tedesco di questa città è Auschwitz. Le truppe sovietiche della 60ᵃ Armata scoprivano il lager e liberavano i sopravvissuti. Era l’inizio della rivelazione di un orrore la cui responsabilità ricadeva su di un intero Paese e sul suo regime, ma anche su altri governi che avevano partecipato – direttamente o indirettamente, nei campi di sterminio o nei borghi di tante città dell’Est europeo – al tentativo di cancellare un intero popolo.
Il 20 luglio del 2000 veniva promulgata una legge approvata dal Parlamento italiano in cui “la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria”, dedicato al ricordo della Shoah ed alla deportazione politica e militare. Ė noto che la strategia dell’eliminazione dei “sotto-uomini” da parte dei nazisti colpì, oltre agli ebrei, anche le popolazioni romanì (il Porrajmos, la cui stima è di circa 500mila vittime), gli omosessuali, le minoranze religiose, i disabili fisici e mentali, i deportati politici, i prigionieri di guerra, in un orrido caleidoscopio di massacri. Ma non c’è dubbio che il genocidio degli ebrei di ogni nazionalità fu un unicum nella storia contemporanea.
Ricordare oggi quella serie di eventi ha un sapore amarissimo e speciale perché adesso come mai dal dopoguerra leggiamo le parole di Primo Levi “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare”: l’indicazione di un pericolo o la sconvolgente profezia di una moderna Cassandra? La costante erosione dell’acqua può far crollare una diga; viviamo il tempo dell’erosione.
Torniamo al passato. Quanto allo sterminio del popolo ebraico, questo non si consumò soltanto nei lager ma si incarnò in tanti massacri locali che costellarono gli anni della guerra. Qualche esempio. C’è un fossato nei pressi di Kiev, capitale ucraina, che si chiama Babij Jar. In quel fossato negli ultimi due giorni di settembre 1941 furono sterminati 33.771 ebrei. Nella seconda metà del 1942 a Gurka Polonka, presso la città di Luck, sempre in Ucraina, non lontano da Leopoli, furono sterminati altri 26.500 ebrei. A Odessa, sempre in Ucraina, nell’ottobre 1941, fu la volta di un imprecisato numero di vittime calcolato fra i 25 e i 34mila. Nella foresta di Bronna Gòra, nella Polonia orientale, scomparvero da maggio a novembre 1942 nella fornace dell’odio oltre 50mila ebrei. A Paneriai in Lituania fra il 1941 e il 1944 furono sterminate più di 100mila persone, la maggior parte ebrei. In un’altra foresta, a Rumbula, presso Riga in Lettonia, fra fine novembre e inizio dicembre 1941 furono uccisi 25mila ebrei. Nel lager di Jasenovac nella Croazia del fascista Ante Pavelic dal 1941 fino al 1945 furono massacrate dagli ustascia decine di migliaia di persone – sembra poco meno di 100mila – ebrei, romanì, serbi, croati, musulmani, oppositori politici. Non solo: solo una piccola parte degli ebrei che cercavano scampo riuscì ad ottenere il visto da parte della quasi totalità dei Paesi della comunità internazionale anche dopo la Notte dei Cristalli, fra il 9 e il 10 novembre 1938. Sette giorni dopo iniziava la lunga serie delle leggi razziali in Italia con il Regio decreto–legge n.1728 sulla difesa della razza italiana. Gravissime furono infatti le responsabilità del fascismo nella persecuzione degli ebrei.
Hitler fu il teorico, l’esecutore e il liquidatore. Ma l’odio verso gli ebrei era un sedimento secolare. E a tutt’oggi mai pienamente cancellato in tutta Europa, in particolare nell’Est. Ciò che allarma in alcuni di questi Paesi – l’acqua che scava nelle crepe della diga – è la riabilitazione dei collaborazionisti locali, spesso inquadrati nelle Waffen-SS delle più disparate provenienze nazionali, condannate come responsabili di numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Norimberga.
Eppure oggi Stepan Bandera, criminale di guerra, collaborazionista, coinvolto nel massacro di civili polacchi e dello sterminio degli ebrei in Ucraina, è stato insignito dell’onorificenza di “Eroe dell’Ucraina”. Lo stesso vale per i volontari delle Waffen-SS lituane, elevati a eroi nazionali, mentre si svolgono gigantesche parate in Lettonia a sostegno delle Waffen-SS, in Croazia si assiste da anni all’abbattimento di migliaia di monumenti ai partigiani ed al panegirico degli ustascia, solo per fare alcuni esempi. Stiamo assistendo a una riscrittura latente o manifesta della storia, a un vero e proprio memoricidio che cancella quasi come un’alzata di spalle l’insieme dei crimini nazifascisti e in questa misura banalizza la Shoah riducendola, negandola o, e forse ancor peggio, ignorandola.
L’assunzione al rango di eroi nazionali di personaggi che si sono resi complici o sono stati artefici della costellazione di massacri che ha caratterizzato la vita del Terzo Reich si sposa con un rinato, estremo ed aggressivo nazionalismo che solo in parte si può spiegare con le vicende della storia successiva dell’Unione Sovietica e dei Paesi cosiddetti satelliti. C’è qualcosa di più profondo che rinvia all’antisemitismo in particolare e più in generale a un grumo razzista che pulsa in modo evidente in tanti Paesi dell’Est, molti dei quali membri dell’Unione Europea, e in modo alle volte più dissimulato anche nell’Ovest dell’Unione.
Da anni però non emerge in modo evidente una conseguente preoccupazione negli organismi dirigenti dell’UE, anzi l’allarme antinazista sembra palesemente derubricato, offuscato, segregato nelle pieghe di una nuova guerra fredda che può precipitare in un conflitto armato da un momento all’altro. Questo clima è un vento che avvelena i rapporti fra Bruxelles e Mosca, una nebbia che impedisce la visione chiara e distinta di ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi.
“Sentinella, a che punto è la notte?” è scritto sulla Bibbia. È il momento in cui chiederselo. C’è sempre – prima o poi – un’alba. Per questo l’Anpi ha chiesto al parlamento europeo, come vuole fra l’altro la verità storica – di stabilire a fondamento dell’Unione Europea l’antifascismo, l’antinazismo, l’antirazzismo. Per questo, spesso con tante altre associazioni resistenziali, abbiamo promosso per oggi in tutta Italia oltre 130 iniziative di memoria civile e morale.
Ciò che è accaduto può ritornare. Ma non c’è nessun fato, nessun destino, nessuna sorte prescritta. Dipende solo da noi. Dalle donne e dagli uomini viventi. È il momento di aprire gli occhi.
*Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale Anpi