L’Italia potrebbe vedersi ridurre, rispetto ai 68,9 miliardi previsti un anno fa, i trasferimenti a fondo perduto a valere sul Next Generation Eu. Nessuna sorpresa: il regolamento del fondo di ripresa europeo, varato nel febbraio 2021, prevede che il 30% del contributo finanziario sia calcolato in modo preciso entro il 30 giugno 2022 tenendo conto della variazione del pil reale nel 2020 e della variazione aggregata del pil reale nel biennio 2020-21. Visto che lo scorso anno l’economia italiana è rimbalzata di più del 6%, recuperando in parte il crollo dell’8,9% subito nell’anno del lockdown, è assai probabile che in sede di aggiornamento la cifra spettante alla Penisola nel periodo 2021-2026 risulti più bassa rispetto a quella che era stata stimata sulla base delle previsioni autunnali della Commissione del novembre 2020: all’epoca Bruxelles riteneva che la crescita 2021 si sarebbe fermata a +4,1%.
Va ricordato, del resto, che le cifre a cui l’Italia avrà accesso nel caso raggiunga tutti gli obiettivi e traguardi previsti sono già state limate. Il governo Conte nel 2020, alla fine dei negoziati a Bruxelles, si attendeva 209 miliardi complessivi: 196 dalla Recovery and Resilience Facility (il “cuore” del piano) e il resto da React Eu e Just Transition Fund. Nel marzo 2021, dopo l’arrivo a Chigi di Mario Draghi, il ministro dell’Economia Daniele Franco ha annunciato che il regolamento europeo appena approvato, prendendo come riferimento per il calcolo dei prestiti il reddito nazionale lordo del 2019, comportava una mini revisione al ribasso a 191,5 miliardi. Di cui 68,9 a fondo perduto: il 70% – 47,9 miliardi – sicuri, il resto – 21 miliardi – subordinato all’aggiornamento da fare entro il 30 giugno 2022.
Dopo che il Corriere ha ricordato quella scadenza, in un articolo dedicato in gran parte alle sfide per la messa a terra dei fondi e alle proteste dei sindaci per errori nell’allocazione dei fondi, la questione è tornata di attualità. Veerle Nuyts, portavoce all’Economia della Commissione europea, a domanda diretta arrivata durante il briefing con la stampa ha ovviamente confermato che i trasferimenti saranno ricalcolati come previsto dal regolamento della Recovery and Resilience Facility, varato in una fase di grande incertezza sull’evoluzione della pandemia e le prospettive di crescita dei Paesi Ue. Del resto, ha osservato il portavoce capo Eric Mamer, “è una buona notizia che l’economia di un Paese” come l’Italia “vada bene: non va dimenticato che lo scopo della nostra politica è che l’economia si riprenda“.
Se la cifra finale risulterà più bassa di quella iniziale, ogni Stato avrà “diverse opzioni” a disposizione, ha ricordato Nuyts. C’è la possibilità di presentare un piano rivisto che preveda il trasferimento di fondi “da altre risorse Ue, come i fondi di coesione“, in base all’articolo 7 del regolamento. Una seconda possibilità è rimediare utilizzando fondi nazionali. Una terza possibilità è quella di sottomettere un piano rivisto, comprensivo di una “richiesta di prestiti”, cosa che può essere fatta entro il 31 agosto 2023. L’ammontare massimo dei prestiti che si possono chiedere è il 6,8% del Prodotto nazionale lordo dello Stato richiedente. Se questa soglia è già stata raggiunta, però, “non si possono fare altre domande di prestiti”, molto convenienti perché la Commissione si finanzia sui mercati a tassi bassissimi. Il Recovery plan dell’Italia, a differenza di quelli di altri Paesi, già prevede l’utilizzo della cifra massima di soldi che vanno poi restituiti: su questo fronte quindi non ci sono spazi di manovra.
Il leader della Lega Matteo Salvini ha commentato quella che era cosa nota come se si trattasse di una novità: “Non è il momento delle provocazioni. In una fase di crisi geopolitica, energetica, logistica e di aumento del costo delle materie prime, anche solo ipotizzare tagli ai fondi europei destinati all’Italia è inaccettabile”.